I «generi marginali» nel Novecento letterario
Seminario di studi

a cura di Daniela Baroncini e Federico Pellizzi

Tavola rotonda
Bologna, 22 maggio 1997
Dipartimento di Italianistica

Partecipanti:
Federico Pellizzi, Paolo Bagni, Andrea Battistini, Remo Ceserani


Andrea Battistini

Come è naturale quando si deve discutere di concetti nuovi o comunque poco studiati, anche nel caso della marginalità si è indotti a insistere su questioni metalinguistiche miranti a precisarne il valore semantico. Per un termine cui è pertinente una condizione periferica, ai bordi fluttuanti di altri fenomeni, diventa normale, per reazione, cercare di tracciarne il perimetro, ossia, in senso etimologico, di "definirlo", vale a dire di "segnarne i confini". Sennonché, per un paradosso immanente al suo statuto, sfuggente proprio perché laterale, ciò che è marginale non può avere un'accezione univoca, dal momento che essa può variare in rapporto al punto di vista in cui il margine si pone nei confronti della centralità. Se infatti il centro è uno solo, i punti che formano la circonferenza sono molteplici. Le esigenze quindi sono due, e in contrasto tra loro: da una parte si tratta di intendersi su ciò di cui si sta parlando, come pretendeva già la saggezza filosofica di Aristotele, dall'altra si è indotti a offrire un ventaglio divaricato di significati, lungo la linea frastagliata di un orlo particolarmente sinuoso.

Il mio tentativo sarà appunto quello di individuare le definizioni multiple di "genere marginale" sia alla luce di ciò che ho ascoltato frequentando i precedenti incontri seminariali sia da quanto ho potuto ricavare da qualche testo che mi è stato dato. E proprio perché, come ha chiarito Pellizzi, ai generi marginali è immanente una situazione dialogica, sarà anche possibile intervenire sui contorni suggeriti da altri con proposte dialetticamente diverse, interpretando e integrando le definizioni esplicite e ufficiali con quanto esse sembrerebbero possedere di implicito e latente. Dato per scontato che si è alle prese con un concetto in realtà molto fluido, si può nondimeno attenersi alla volontà euristica di precisarlo, sia pure con il rischio calcolato di esiti fin troppo schematici. Solo con questa chiara consapevolezza diventa possibile individuare convenzionalmente cinque accezioni che sono emerse dal dibattito seminariale sviluppatosi fino a oggi.

Per cominciare, esiste un significato che, quasi ovvio e istintivo in quanto dettato dal buon senso, è stato in realtà subito respinto ufficialmente da Pellizzi fin dal primo incontro e anche oggi negato nelle sue parole introduttive. È quello appunto per cui un genere, in quanto marginale, laterale, periferico, finisce per essere indebitamente ritenuto subordinato e quindi in definitiva "minore". Se questa accezione viene qui affacciata è perché, quantunque rifiutata, si ha a volte l'impressione che surrettiziamente venga utilizzata, appunto quando si tende istintivamente a considerare il genere marginale come un genere di seconda schiera, ancillare. A generare il sospetto è la presenza del genere degli appunti che, recando con sé l'idea dell'abbozzo, della provvisorietà, dell'informe, minacciano di poter indurre a questo slittamento. In ogni caso si rammenta l'evenienza solo come gesto apotropaico, per esorcizzare un valore che non si vorrebbe assegnare, non intendendo creare alcuna gerarchia di valore tra centro e periferia.

Ma è bene passare subito al modo più fecondo con cui intendere il genere marginale, sancito dal ruolo eminentemente relativo di questo concetto, nel senso che la marginalità si può comprendere solo e sempre in riferimento a qualche cosa d'altro. Ne consegue che tutto è marginale, perché mutando il punto di riferimento qualunque cosa, anche quella più centrale, può venire spodestata e diventare marginale. E il relativismo fa anche sì che ciò che sta a lato da una prospettiva possa diventare invece centro e nodo focale di riferimento da un'altra prospettiva, perché in ogni caso a contare è il punto di vista. In questo modo il romanzo può essere un genere marginale rispetto alla lirica, e ovviamente vale anche il reciproco. Ciò comporta delle deduzioni di qualche interesse, visto che, come esiste l'intertestualità, così si potrebbe anche introdurre il concetto di "intergenericità", nel senso che si può spostare a livello di codice quel fenomeno di contaminazione che l'intertestualità fa intervenire soprattutto a livello di messaggio. Nei fatti non esistono generi del tutto incontaminati, dal momento che, pur avendo una coloritura dominante, assorbono tratti peculiari di altri generi, di solito contigui, creando rapporti di tipo metonimico che danno ragione a quanti diffidano dello stesso concetto di genere, troppo sovrapponibile e sfumato per potere essere correttamente individuato. Ma forse è proprio la dialettica tra centralità e marginalità a ridurre le ambiguità.

Visto che nel corso dei seminari "applicati" un oggetto privilegiato è stato il diario insieme con la lettera, si potrebbe azzardare un esempio di questo tipo: il diario – e qui intendo sempre il genere, senza riferimenti specifici a casi singoli – nel suo stesso statuto operativo è da considerare marginale rispetto all'autobiografia in quanto quest'ultima, pur essendo un racconto retrospettivo e sintetico di un'intera esistenza in cui è assente la frammentarietà analitica e rapsodica del diario, in certi suoi luoghi e momenti acquista tuttavia la fisionomia peculiare del genere diaristico. In proposito basterebbe pensare alla parte finale delle autobiografie, che costituzionalmente sono, in termini narratologici, dei momenti di crisi perché non si sa mai bene come concludere il racconto di una vita, il cui esito più normale dovrebbe essere la morte del protagonista, evento che nell'autobiografia è impossibile da narrare essendo la stessa voce narrante a scrivere di sé. Ecco allora che il genere autobiografico, nel tentativo di fare coincidere con la minima approssimazione il racconto di sé alla vita vissuta, viene sottoposto dall'autore a continue aggiunte, tanto che se dovessimo visualizzare l'autobiografia potremmo equipararla tendenzialmente a una semiretta che però nel suo estremo "aperto" si frantuma in tanti segmenti sempre più piccoli. Sono gli aggiornamenti, prossimi per struttura al diario, dove ovviamente la retrospettività è minore rispetto all'autobiografia e si riferisce a porzioni di vita più o meno ristrette, al limite dotate della misura di una giornata, come sottintende l'etimo di "diario", o di "journal".

Da quest'ultimo dettaglio della retrospettività si ha conferma del valore di reciprocità della condizione marginale, predisposta, come è stato detto, sia al dialogo sia all'intervento di più voci, quasi avesse la vocazione del ventriloquo. In altri termini, se il diario è marginale rispetto all'autobiografia quando in certi suoi luoghi vi si installa con la sua scrittura frammentata, l'autobiografia può a sua volta essere considerata un genere marginale per il diario nel senso che anche il diario, per quanto costituito da una serie intermittente di appunti relativi a esperienze avvenute a ridosso della loro trascrizione, è tuttavia sempre dotato, sia pure in misura minore dell'autobiografia, di retrospettività, ossia della peculiarità canonica e distintiva del genere autobiografico. E a riprova si può addurre la nota definizione di Philippe Lejeune, il quale nell'illudersi di fornire una definizione univoca di autobiografia ha individuato nella "visione retrospettiva del racconto" il discrimine che la distinguerebbe (ma si è visto che non è così, se non in termini molto relativi) dal diario. Ecco allora che non esiste una marginalità assoluta, ma soltanto relativa.

Anche la lettera si può considerare marginale per il diario, il quale proprio come la lettera presenta una sua "allocutività". È un fatto molto normale che chi tiene un diario si rivolga a lui come se fosse un destinatario molto amico e fidato che raccoglie le confidenze. Non per nulla uno dei diari più noti della modernità, quello di Anna Frank, acquisiva per la scrivente un nome di persona, Kitty, in modo che la scrittura diaristica si organizzava secondo una forma epistolare, in questa occasione marginale rispetto al diario. L'esercizio può poi proseguire, ancora nella costellazione che riguarda "la memoria dell'io", secondo la formula impiegata nel Manuale di letteratura italiana di Bollati-Boringhieri, che è appunto una "Storia per generi". Sempre in questo àmbito si verifica che, per quanto possa sembrare paradossale, la biografia sia da considerare un genere marginale per l'autobiografia, nonostante l'evidente differenza che separa un genere in cui autore e personaggio sono nettamente distinti (ma esiste sempre l'eccezione dell'intervista) da un genere in cui essi coincidono. A ben guardare, avviene che nei momenti narrativamente cruciali dell'autobiografia chi scrive tende ad assumere comportamenti propri del genere biografico. Al principio di ogni autobiografia si dovrebbe esordire propriamente con il primo ricordo che uno ha di sé, ricavato in se stessi, dall'interno della memoria personale, mentre in realtà quasi tutte le autobiografie cominciano dicendo quando si è nati, quali sono stati i genitori e gli antenati, il tipo di famiglia di cui si è fatto parte, e via dicendo, secondo un incipit tipicamente biografico, naturale per chi, dovendo ricostuire l'esistenza di un altro, attinge da un archivio o da altre testimonianze documentarie i dati anagrafici che certo un autobiografo non può attingere dalla propria memoria. Qualcosa di simile avviene all'altro estremo del racconto, dove l'autobiografia è, per così dire, asintotica alla morte di colui che scrive di se stesso, e tende appunto a descrivere anche la propria fine, che è poi la conclusione più normale di una biografia quando ovviamente chi viene biografato è già deceduto e colui che dall'esterno ne narra la vita è in grado di farlo. Anzi, in certa tradizione stoica "l'uomo al punto" diventa momento privilegiato per cogliere l'essenza di una personalità. Infine la marginalità della biografia può manifestarsi, oltre che agli estremi, anche nel corso del resoconto autobiografico, tutte le votle che l'io scrivente vede e giudica l'io passato tanto diverso da come è diventato da apparirgli un'altra persona. E lo sdoppiamento comporta un atteggiamento simile a quello del biografo che valuta il biografato, nella tipica situazione in cui qualcuno scrive di un altro.

Resta ancora la memorialistica intesa in senso proprio, distinguibile per la sua attenzione estroversa al contesto storico, specie politico e sociale. E una volta di più vi si rivela una marginalità rispetto all'autobiografia che, per quanto sia un genere in cui il soggetto protagonista è ripiegato in se stesso, può anche volgere il proprio sguardo all'esterno e indugiare sulla situazione storica, in linea con ciò che succede per la memorialistica. Stessa cosa vale per il cosiddetto autoritratto, un termine preso a prestito dalle arti visive e designante, appunto, un momento non diegetico, un momento descrittivo. Esiste una lunga tradizione di sonetti-autoritratti, culminanti con le prove di Foscolo, Alfieri, Manzoni e di solito marginali al genere lirico. Ma la forma del ritratto di sé può risultare marginale anche in seno a un'autobiografia, nella quale non mancano mai i momenti descrittivi e non diegetici.

Con questa prospettiva si ottiene una ridefinizione continua dei generi canonici e si viene a concordare con quanto ha sostenuto Bagni alla fine del suo intervento, quando ha parlato della marginalità come di una linea mobile proprio perché si colloca al confine, nel regno dell'eccentricità e degli scambi. Storicamente ciò ha favorito la costituzione dei generi misti, che hanno goduto di particolare fortuna nei periodi di manierismo, di cui sono sintomo eloquente tutte le minuziose e frazionate classificazioni di Giulio Cesare Scaligero, risalenti a un periodo in cui, con una situazione simile a quella odierna, un canone era entrato in crisi, e con il tentativo di creare delle forme miste (tragicommedia, poema eroicomico…) si cercava di sostituirlo con un'operazione agonistica che agiva negli interstizi tra genere e genere.

Il vantaggio di questa visione fatta di incessanti "cancellazioni e addizioni", certo da condividere, è quello di avere una concezione dei generi di tipo dinamico e non statico. Addirittura la marginalità può rinsanguare il canone: basti pensare all'analisi condotta da Tynjanov sull'ode russa da Lomonosov a Derzavin, dove si vede bene come le forme liriche della tradizione vengono volontariamente contaminate con la prosa quotidiana, con un'operazione che in fondo si è compiuta anche nella letteratura italiana, allorché con Pascoli la più alta tradizione aulica viene programmaticamente a nutrirsi della discorsività del registro linguistico più dimesso. E non per caso Pascoli ebbe a confidare a Ojetti che lo intervistava di considerare i giornali con il loro linguaggio trasandato ed extraletterario la sua "principale lettura", sottintendendo che egli lo metteva a frutto anche in qualità di scrittore, assimilandone le forme dalle caratteristiche già allora assai note, essendo prossima la stagione in cui anche Renato Serra avrebbe condotto le sue grandi diagnosi sociologiche sui mass media. Pascoli nell'immettere il lessico banale e consunto dei giornali nel genere della lirica o addirittura del poemetto di ascendenza epica li ha rivitalizzati conferendo loro un inedito abito moderno.

Se si è insistito sul caso di Pascoli è perché l'osmosi da lui creata tra genere letterario e genere extraletterario consente ora di passare alla terza accezione di genere marginale, ricavata dall'intervento di Giorgio Forni. Di là dal contenuto che, come sa chi era presente, riguardava Lucini e Marinetti, se ne possono trarre deduzioni o forse anche illazioni relative al metodo e agli aspetti semantici sottesi al modo in cui Forni ha impiegato il concetto di marginalità. Nel suo discorso sembra che la marginalità consista nel contatto della letteratura con ciò che non è letterario, per esempio, nel caso specifico, con opere di minore letterarietà, con la conseguente tendenza a ibridare le forme. Si verifica insomma che la poesia, o in senso lato la letteratura, si mette programmaticamente ai margini della stessa letteratura prestando la sua scrittura alla politica, secondo l'endiadi riassuntiva designata nel titolo del contributo: Propaganda politica e farsa simbolista. Con questo campione si verifica il movimento opposto a quello individuato in Pascoli: là il linguaggio non letterario veniva assunto nella giurisdizione della letteratura, qui il linguaggio letterario emigra in un àmbito che non lo è, d'accordo forse con le diagnosi di Benjamin sui processi di esteticizzazione della politica e di politicizzazione dell'estetica. Di conseguenza il terzo significato di genere marginale implica che la letteratura, per così dire, facit saltus, e vuole diventare anche messaggio, scrittura politica, senza che ciò comporti, d'accordo in questo caso con Pellizzi, l'"esautorazione dell'estetico", ma anzi una sua estensione di campo.

Da tutto ciò si può forse intravedere un'altra possibilità, consistente nel connettere, grazie sempre alla marginalità, la letteratura alla retorica, due statuti che possiedono al loro interno dei generi, detti rispettivamente letterari, espressione di una categoria testuale, e oratorî, pertinenti a una condizione generale della comunicazione, di tipo diverso ma pur sempre embricati. Pare verisimile che il genere epidittico sia marginale al genere lirico, che il genere deliberativo si trovi alla periferia dell'epica, che, per passare a sottogeneri, il romanzo giallo o poliziesco abbia ai suoi bordi comportamenti da genere giudiziario. E per non dare l'impressione di nessi troppo speculari e deterministici, ecco che nella tragedia ci può essere sia un contorno di tipo giudiziario se l'azione riguarda il passato (Oreste è colpevole o innocente nell'avere vendicato il padre?), sia un orlo deliberativo se l'azione riguarda il futuro (come deve comportarsi Oreste nei confronti degli uccisori del padre?). Inutile aggiungere che il tema dovrebbe essere approfondito, e questa non è la sede, essendo opportuno offrire, se ne sono mai capace, spunti più che disamine o analisi diffuse. Per il momento è sufficiente avere segnalato come attraverso la nozione di genere marginale si possa lavorare ai confini comuni della letteratura e della retorica, due discipline operanti per tanto tempo in stretta cooperazione fin dagli obiettivi comuni del docere, delectare e movere, almeno fino alla rivolta romantica, quando la prima, con velleità omicide, stabilì che si dovesse torcere il collo alla seconda.

Un quarto modo d'intendere la marginalità deriva dalla sua condizione fluida e provvisoria che la fa connettere al tipo di lavoro in fieri, o in progress, come si dice, tanto più che, pur avendo velleità estetiche, essa si caratterizza per la sua condizione di abbozzo, di brogliaccio, di appunto, con una ricerca – è stato detto – di autenticità, che si rivela anche nel mandato precario della sua scrittura. Da una parte quindi la marginalità trae giovamento, per una sua corretta ermeneutica che la radichi al suo tempo di scrittura, dalla filologia e da un discorso di varianti, dall'altra viene a congiungersi, specie nella cultura del postmoderno, alla letteratura del non finito rispetto all'opera conclusa, verso cui però non si pone certo quale premessa diacronica, ma vale di per sé fissando nel suo statuto la condizione della mancata finitezza. Ma poiché di questo si è già molto discusso negli ultimi tempi, da un intero numero dell'"Asino d'oro" alle riflessioni di Ferroni, non mette conto di insistervi troppo.

Infine, come quinta possibilità, valida soprattutto oggi, si può ipotizzare che la marginalità sia un'espressione tipica (ma ovviamente non esclusiva, anche perché esistono sintomi che vanno in direzione contraria, per la presenza, nonostante tutto, di generi forti e gerarchicamente rilevati) del postmoderno, nel senso che con il postmoderno viene meno una ufficialità non solo dei generi specifici ma in fondo di tutta la letteratura, con il risultato di attribuire alla stessa letteratura nel suo complesso una condizione tutta marginale, laterale. Da questo punto di vista ecco allora una possibilità di avvicinare il concetto di marginalità alla contemporaneità, che è poi la circoscrizione cronologica di questo seminario. Resta da vedere se ciò costituisca una prerogativa dell'attualità o se invece sia un dato ineludibile di tutta la letteratura.


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