Giuseppe Culicchia, Bla bla bla, Milano, Garzanti («Gli elefanti»), 1997, pp. 129;
Giuseppe Culicchia, Ambarabà, Milano, Garzanti, («Narratori moderni»), 2000, pp. 139.
di Eleonora Conti

Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Ingrandisci


Dopo l'esordio sfolgorante di Tutti giù per terra (1993, vincitore del Premio Montblanc nel 1993 e del Grinzane Cavour nel 1995), che lo ha imposto come una delle voci più vivaci delle nuove generazioni di scrittori usciti dalla scuola di Tondelli, Culicchia ha imboccato la strada di un pulp meno scanzonato e più sofferto con il terzo romanzo, Bla bla bla. Il salto fra i primi due romanzi e il terzo (Paso doble, sua seconda prova, si collocava un po' sulla falsariga del primo) è evidente: nei primi due un linguaggio scoppiettante e un'ironia corrosiva denunciavano il vuoto dei valori degli anni Ottanta e ne prendevano le distanze, indicando una sorta di via di fuga e di salvezza dal girotondo di materialismo-edonismo-esibizionismo che li caratterizzava. Anche il protagonista di Bla bla bla si dichiara senza mezzi termini fuori da ogni logica di sicurezza borghese: è apertamente in crisi, desidera annullarsi nel caos della metropoli, contesta, si oppone al vuoto cicaleccio, al «bla bla bla» che lo circonda; ma è più disperato che divertito. Sul piano linguistico e stilistico, nel romanzo sembra dominare la tendenza verso un ritmo più scandito e neutro, verso un nitore, un «bianco» che tutto avvolge. Il primo dato che balza agli occhi è la sottrazione d'ironia che Culicchia effettua nella sua terza prova, la sua riduzione a humour nero (si pensi al modo in cui la voce narrante informa il lettore della morte dei genitori, al cinismo commerciale del fratello e dell'ex compagno di scuola). La denuncia è spietata, l'ironia non redime più, pare scomparsa ogni via d'uscita. Il pregio maggiore di questo lucido pessimismo ci pare possa essere l'assenza di compiacimento (contraria a certo esibizionismo «cannibale»): l'autore qui sembra pulp perché è necessario e inevitabile, come se non esistesse altra strada per descrivere il mondo e per affermare la propria diversità rispetto ad esso, rispetto a come «ce lo vendono» (si vedano le tirate antipubblicitarie e anti-Mac Donald, che però, come ha sottolineato Filippo La Porta in La nuova narrativa italiana. Stili e travestimenti di fine secolo, Bollati Boringhieri, 1999, non costituiscono la vera cifra del romanzo).

La sensazione, a libro chiuso, è, per citare ancora La Porta, quella «di una sincerità quasi imbarazzante» (p. 271). Ma anche in Culicchia l'opzione pulp rischia la maniera, e il bilancio positivo di Bla bla bla sembra quasi rovesciarsi nella successiva raccolta di racconti, Ambarabà, ventuno brevi ritratti di personaggi in attesa sul binario della metropolitana, con finale a sorpresa. Nonostante l'originalità dell'impianto e l'indubbia abilità d'indagine psicologica dell'autore (già evidente nelle prove precedenti), capace di ritrarre i suoi personaggi anche solo a partire da un gesto o da un tic, la qualità dei racconti risulta discontinua. Ciò può essere in parte dovuto al fatto che essi sono nati come testi indipendenti e in momenti diversi e sono stati poi assemblati entro una cornice comune. Il dato maggiormente evidente nel complesso, tuttavia, è che essi sembrano portare a compimento un processo: l'ironia salvifica caratteristica di Tutti giù per terra, maturata in Bla bla bla secondo sfumature più nere, qui è scomparsa del tutto, e la spietatezza con cui sono denunciati gli orrori quotidiani che i singoli personaggi celano in sé si muta in una sorta di compiacimento, si riduce a maniera e perde mordente.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna al sommario dell'articolo Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2001

Giugno 2001, n. 1