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Teatro della contestazione nell'Italia delle lotte studentesche negli anni '60 e '70

di Maria Concetta Loria

" Art et Politique" è un saggio elaborato da Mickel Dufrenne nel 1974 [1 M. Dufrenne, Art e Politique, Paris, Union General D'editions, 1974]. Dufrenne parla di una certa "pratica utopica", attraverso la quale rivoluzione in arte ed in politica vengono a coincidere: "esplodendo in azioni utopiche che ci impongono di allargare il campo dei concetti, arte e politica possono ricongiungersi.

Uno sciopero è un'azione politica (soprattutto nella misura in cui non obbedisce alle parole d'ordine dalla politica) ma può essere anche un avvenimento estetico, come una festa o un fuoco d'artificio (. . .)

Per prima cosa le due rivoluzioni, quella politica e quella artistica, hanno in effetti lo stesso campo: la vita nella totalità sociale; tutte e due cambiano, hic et nunc, il vissuto. Esse fanno scricchiolare i significati reinventando le parole, si impossessano del reale. Un reale che non è ancora asettizzato, normalizzato, artificializzato, un reale che il desiderio conosce come il luogo dei possibili. E precisamente le due rivoluzioni procedono dallo stesso desiderio". [2 Art e politique , cit. riportata in M. De Marinis , Al limite del teatro, Firenze, Casa Usher, 1983, pp. 94].

Il saggio di Dufrenne si rivela esplicativo di alcuni processi artistico-culturali del '77 quando, al di là del discorso sulle avanguardie storiche, si afferma l'idea sessantottesca secondo cui l'estetico ed il politico sarebbero due facce della stessa medaglia. Da una parte la critica dogmatico-realistico della pratica artistica, come veniva concepita dal marxismo ufficiale, porta a teorizzare un'idea di arte che al di là della sua dimensione formale, venga inserita nel più vasto processo di trasformazione materiale dell'esistenza; dall'altra parte la nascita dell'idea di una rivoluzione, a partire dalle problematiche della vita quotidiana, porta a formulare l'ipotesi di "estetizzare la politica" di porre l'arte al centro della pratica rivoluzionaria.

Si arriva così all'elaborazione della separazione fra arte e vita quotidiana, imposta dalle istituzioni, che porta ad un immediato e continuo richiamo dell'avanguardia storica, con particolare attenzione verso il dadaismo, movimento che molto più di altri ha avvertito con particolare acutezza il problema: "dada raccoglie l'irruzione del soggetto nel testo progettando una rottura della separatezza tra testo e storia, tra letteratura e politica, tra linguaggio e movimento. Ma il dadaismo progetta l'iscrizione reciproca in un luogho che è costituitivamente imponente, il luogo dell'arte (sia pure dissacrata). Quel che manca al dadaismo è la condizione reale della proletarizzazione, la condizione materiale della iscrizione reciproca della scrittura nel movimento e nel soggetto in movimento nella pratica testuale."

[3 A/Traverso, "Dalle masse alle masse. Ma come?" febbraio 1977.]

Durante gli anni '60 e '70 si delineano delle pratiche di azioni, che si inseriscono nelle attività rivoluzionarie, nel superamento della separazione tra arte e vita quotidiana.

Tutto può essere trasformato in arte, con il sottinteso che sia comunque l'artista a voler elevare il proprio gesto a segno artistico, attingendo, senza preoccupazioni di purezza di stile, a tutti i linguaggi possibili.

Sessantotto e settantasette hanno rappresentato per l'arte in genere lo scontro e l'incontro fra alcuni processi culturali e altri socio-politici.

Circa i processi culturali vale il discorso delle avanguardie storiche, dove la condizione centrale è quella dell'identificazione fra "arte e vita", concetto che viene riformulato in senso politico estremo attorno ai fatti del '68.

Per quanto riguarda i processi socio-politici, si intendono tutti gli eventi che in Italia e nel resto del mondo, sconvolsero il modo di pensare e di vivere. Dalla nascita dei gruppi di pacifisti negli Stati Uniti, schierati contro la guerra in Vietnam, all'attacco francese contro il gollismo; dall'emergere prepotente del terzo mondo , con l'emancipazione di numerosi paesi dal colonialismo, all'attacco della classe operaia contro il sistema produttivo; dalla nascita delle sinistre extra - parlamentari alle agitazioni studentesche. Furono anni di rivoluzione di costume, durante i quali venivano propugnati valori nuovi: la dignità umana, l'antiautoritarismo, la libertà di poter scegliere della propria vita.

[4 Venivano spezzate alcune catene del conformismo tradizionale. La donna per esempio, instaurò un nuovo rapporto con il mondo, se stessa, il proprio corpo. Rivoluzione culturale che portò all'approvazione della legge sul divorzio nel 1970 e quella sull'aborto nel 1977]

Ci si ritrova di fronte alla sperimentazione di nuovi modi di produrre e organizzare la cultura, al di fuori dei parametri delle istituzioni. Il fatto di negare l'arte come fatto professionistico, elimina la distinzione tra fruitori e produttori, e la rende evento accessibile a tutti. Vengono codificati nuovi messaggi, non solo artistici ma anche sociali e politici.

A questo punto è bene analizzare l'elaborazione e la messa in pratica di una particolare forma di comunicazione come il teatro, che diviene strumento per la trasmissione di un sapere sociale, culturale e politico. In campo teatrale l'identificazione fra arte e vita quotidiana, o la negazione dell'arte, si espresse attraverso la negazione della netta divisione dei ruoli di attore e spettatore; negazione del professionismo teatrale e dei ruoli rigidamente intesi; con la proposta di un teatro comunitario visto come progettualità creativa di gruppo. Le "rappresentazioni" teatrali vengono elaborate all'interno di un movimento socio-politico particolare. Il teatro diviene strumento di analisi e critica sociale cosa che significò la politicizzazione dello stesso strumento comunicativo. [5 La politicizzazione non è un fatto nuovo nella storia del teatro, l'esempio più illustre è il teatro di agitazione e propaganda nella Germania tra la fine dell'800 e i primi del 900].

In questo contesto una parte del teatro venne a spostarsi ai "margini" della scena teatrale ufficiale, nei luoghi dove le contraddizioni sociali e i dissensi erano più acuti. Il teatro si fa e si inventa per le strade, fra la gente, proponendosi come mezzo di agitazione e impegno sociale. Si assiste alla nascita di gruppi e collettivi teatrali e a tutta l'esperienza del decentramento teatrale. La crisi socio-politica che agitava l'Italia in quegli anni funzionò indubbiamente da stimolo per la ricerca e l'affinamento di mezzi che si rivelarono utili alle analisi di tutti gli apparati culturali, visti in relazione con le politiche dominanti, con le ideologie e soprattutto in riferimento alla borghesia e a tutto il sistema capitalistico. Quanto detto rinvia ad un immediato richiamo alla contestazione verso il teatro ufficiale, da parte di artisti e altri esponenti del mondo teatrale italiano (critici, registi, musicisti, ecc.), i quali sferrarono un duro attacco contro la politica culturale dei teatri stabili e più in generale contro la situazione dell'intero panorama della scena teatrale italiana. Non fu solo una denuncia verso le strutture esistenti, ma anche una proposta di un nuovo teatro capace di porre interrogativi e fatto di gesti contemporanei. Per questo fu promosso un convegno che si svolse ad Ivrea dal 9 al 12 luglio 1967, evento che entrò nella storia del teatro contemporaneo e per questo ampiamente documentato. [6 Per una più ampia panoramica vedi Sipario n° 253, maggio 1967, n° 255, luglio 1967; L. A. Trezzini, la nascita di un teatro di contestazione, in geografia del Teatro, n° 3, Roma, Bulzoni 1977 pp. 47-50; M. De Marinis, Il nuovo teatro, Milano, Bompiani 1987]

Parallelamente esiste un'altra storia, poco documentata, di un nuovo teatro capace di interagire con la quotidianità della gente. Un teatro nuovo uscito dagli ovattati spazi convenzionali, che invade le strade offrendo delle performance artistiche non sempre basate su criteri fortemente professionali, ma spesso interpretando messaggi politici, capaci di individuare contraddizioni sociali e di insinuare dubbi. Un nuovo modo di concepire il teatro, visto come strumento di comunicazione, attivo, aperto agli scambi comunicativi con un pubblico non più fruitore passivo ma creatore esso stesso dell'evento teatrale. Un teatro, quindi, portatore di nuovi contenuti, espressi attraverso canali comunicativi altrettanto nuovi.

I contenuti dei nuovi gruppi teatrali, che nascevano e si scioglievano nel giro di poche settimane, erano prettamente politici: un modo nuovo di fare politica ed arte allo stesso tempo. Ma quale definizione dare al teatro politico?

Il termine si presta a significare fenomeni diversi dal teatro dell'epopea di Piscator al teatro epico di Brectht, dal teatro celebrativo di massa al teatro per il popolo e quello del popolo. Il teatro all'interno di una classe è quello fatto in nome di una classe.

"Teatro politico" è una categoria astratta, non esiste un genere autonomo di teatro politico, se ne parla nell'uso che di questo se ne intende fare. Il teatro si qualificherà come politico a seconda dei suoi modi di produzione e comunicazione, dei contesti nei quali agisce. "Teatro politico" è quindi un concetto che si presta a diversi riferimenti ottenuti spostando l'angolazione delle zone di osservazione. Si può parlare di teatro politico in riferimento all'esperienza del nuovo teatro italiano, nel momento in cui emergono fenomeni avanguardistici già sul finire degli anni cinquanta. Un diverso uso della scena ufficiale può essere interpretato come teatro politico, nel senso dell'anticonformismo verso tutto ciò che è istituzionale.

La ricerca, per esempio, di un diverso uso del linguaggio che si schiera contro l'insufficienza del vecchio naturalismo, una ristrutturazione di vecchi codici teatrali, inadatti a comunicare al pubblico. In questa direzione lavora Carlo Quartucci procedendo verso l'elaborazione dei rapporti che si creano all'interno dello spettacolo fra attori e spazio scenico, fra funzione registica e rappresentazione teatrale.

La recitazione "deformata" e "fisicizzata" di Carmelo Bene, accompagnata da partiture sonore non realistiche, fra grida e sussurri, associati a movimenti eccessivi e a tratti ripetitivi, esprimono un gusto per la dissacrazione e la parodia contro i feticci della cultura piccolo borghese, provinciale e retorica. [7 M. De Marinis, Il nuovo teatro, cit. pp. 154 - 155]

Politico nel senso dei luoghi in cui si situa: il decentramento teatrale significò varcare gli argini degli spazi tradizionali alla ricerca di un inserimento nella più ampia scena urbana.

[8 decentramento è un termine che ebbe fortuna nel momento in cui le forze popolari scesero in campo sull'onda delle grandi rivendicazioni sociali, nel 1968 in Francia e durante i primi scontri all'interno delle università in Italia nel 1967. Il significato assunto fu quello di spostamento radicale dall'asse delle rivendicazioni globali politiche e per una definizione più adeguate delle tematiche di lotta , quelle cioè della gestione dei moti rivendicativi e della loro elaborazione man mano che la lotta procedeva e si allargava. Decentrare significava decentrare le strutture e la loro gestione]

In questo senso appare esemplare la regia di Luca Ronconi per "Orlando Furioso" nel '68. Lo spettatore si trova non a guardare ma a vivere dall'interno l'evento teatrale. Ancora teatro politico nel senso della ricerca di una nuova scrittura drammaturgica. E' il caso di "zip lap lip vap mam crep scap plip scrap & la grande mam", di Giuliano Scabia con la regia di Carlo Quartucci, allestito il 30 settembre 1965 in occasione del XXIV festival internazionale della prosa a Venezia. Il fine era di realizzare una messinscena in collettivo, una collaborazione fra autore - regista- scenografo - attore, al fine di ridurre il divario fra scrittura drammatica e scena.

La nostra chiave di lettura sarà, come già detto, cercare di individuare i "contenuti politici", al di là della sperimentazione artistica, riferendoci poco alle sperimentazioni dei nomi noti del teatro contemporaneo. Obiettivo principale, invece, sarà quello di raccontare lo svolgimento e la storia di azioni teatrali al limite della pura azione politica, intraprese da 'soggetti' che spesso erano del tutto esterni al mondo teatrale propriamente detto, rappresentazioni come nuova forma di protesta politica manifestata con vivaci e spontanee creazioni artistiche.

Molti dei gruppi spontanei che si costituivano su intenti prettamente politici, continuavano la loro sperimentazione in campo avanguardistico. [9 Sui gruppi spontanei vedi il relativo censimento in Sipario, n° 277, Maggio 1969, pp. 30-32]

Fa parte di questo filone il T.P.R. che nasce a Padova nel settembre 1964. Attorno al regista e attore Lorenzo Rizzato si raccoglie un gruppo di persone che si prefigge un preciso impegno politico e una specifica programmazione culturale. Gli spettacoli del T.P.R. venivano frequentati da operai e studenti e le rappresentazioni erano spesso seguite da dibattiti tra attori e pubblico. Anche il G.T.S., a Firenze, cerca una relazione diretta con il pubblico attraverso uno scambio culturale continuo. Le sue performance, nelle case del popolo, avevano alla base un'elaborazione critica ed interpretativa dei testi. A Torino un gruppo di studenti da vita ad un tentativo di teatro assembleare di strada. Per loro non esisteva un prodotto teatrale finito e definito, non c'era la possibilità di ripetere lo spettacolo: l'intervento era l'unica ragione di essere dell'azione teatrale. All'interno delle assemblee si riconoscevano studenti, operai, giovani, l'intento era quello di fornire nuove ed efficaci armi all'operaio in lotta contro il sistema repressivo. Le rappresentazioni avevano come unico sbocco drammaturgico la discussione assembleare. Il testo veniva fornito dall'occasione, elemento di incontro e discussione per il pubblico, imprevedibile in quanto legato alla realtà in cui operava. L'occasione viene trasformata in azione teatrale dal gruppo inserito politicamente nella realtà e nella quotidianità dei quartieri. A Torino, per esempio, nell'aprile 1970 nel quartiere Le Vallette, viene intrapresa un'azione di strada sul tema della condizione degli operai emigrati dal sud. Il testo parte dalla protesta contro gli amministratori della casa "Don Orione" per estendersi alla problematica più generale della logica di sfruttamento che sta alla base del mercato degli affitti delle case. [10 A. Ronchetta, F. Vigliani, A. Salza, Giubilate il teatro di strada,, Torino, Studio Forma, 1976].

Nel corso del 1972 una serie di rappresentazioni - azioni di strada si svolgono tra Milano e Torino prendendo spunto dalla campagna di Soccorso Rosso per la liberazione di Valpreda. Per strada si ripercorrono le tappe della strage per mezzo, tra l'altro, di uno speaker-tamburino e di altoparlanti. Partendo dall'esplosione di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (rappresentata con il lancio di ombrelli e coriandoli), passando per il "suicidio" dell'anarchico Pinelli fino alle traversie giudiziarie di Valpreda: la recitazione diventa pretesto informativo e da lo spunto per la discussione con la gente. Più o meno nello stesso modo vengono impostate altre azioni che hanno come canovaccio grandi questioni di quegli anni come la campagna di informazione per l'approvazione della legge sull'aborto o, ancora, la crisi petrolifera con il conseguente aumento dei prezzi. I punti fermi di tutte le azioni di strada sono in ogni caso la struttura assembleare aperta , l'assenza di ruoli definiti, la tendenza a radicarsi in uno spazio politico e a cooperare con le sue componenti.

Collocato all'interno della sinistra istituzionale il Collettivo Gramsci, attivo soprattutto in Piemonte e in Lombardia, fonda la sua azione sull'ipotesi gramsciana che "il potere reale la classe operaia potrà acquistarlo e conservarlo impadronendosi di tutti gli strumenti non soltanto di produzione ma anche di formazione e informazione." [11 Collettivo Gramsci, Ombre Rosse, N° 13 n.s., febbraio 1976].

La prima fase dell'attività del collettivo è caratterizzata da una pungente satira e dal senso del grottesco; ha compreso spettacoli-documento contro la guerra in Vietnam ("Off Limits"), sulla resistenza ("La Resistenza continua, la lotta di liberazione ieri e oggi"), sulla condizione degli operai nelle fabbriche ("Muori operaio ma non fare rumore"), sulla condizione femminile ("Prendete una donna e bruciatela come strega"). Più tardi l'attività teatrale del collettivo assume il nome di "Il teatro del mago povero" a voler indicare nuove scelte operative di linguaggio e di un'arte povera, di maggiore comunicazione e chiarezza.

Il "Teatro Operaio" nasce a Palermo nel 1973. L'intuizione peculiare del gruppo è che, in situazioni particolari e non ripetibili meccanicamente, la classe operaia, i proletari si esprimono spontaneamente in forme teatrali: un disoccupato napoletano (non tutti, uno che ha una certa "dote" ma a Napoli, per esempio ce l'hanno in tanti) [ 12 Teatro Operaio, In ombre Rosse, N° 15-16, luglio 1976, pp. 91-93] che racconta un episodio di lotta da lui vissuto "fa spettacolo". Allo stesso modo una donna di Palermo, in lotta per la casa o un operaio fiat che descrive una invasione semi-pacifica della palazzina dei dirigenti. Questi soggetti fanno spettacolo, cioè trasmettono la loro esperienza con una carica umana espressiva, gestuale fortemente comunicativa, e in questo senso teatrale. Da qui il tentativo di riprodurre negli spettacoli la stessa verve spontanea cercando tra i compagni del luogo quelli più 'adatti' ossia quelli più 'dotati' nel ruolo di comunicatori - attori. Ad esempio nello spettacolo "La caduta dell'impero democristiano", la lotta per la casa a San Basilio viene raccontata in prima persona da un proletario che l'aveva vissuta direttamente; in uno spettacolo sull'emigrazione, sono due disoccupati del Comitato disoccupati organizzati di Napoli a spiegare,'recitando', le ragioni della loro protesta. Durante le campagne elettorali, soprattutto in paesi del sud come Gela, Taurisano, Mola di Bari, Pozzuoli, questi spettacoli diventano i comizi più diffusi.

Gli improvvisati attori locali vengono affiancati durante gli spettacoli dalla proiezione di diapositive, dall'esposizione di striscioni e dalla pratica di alcuni giochi. Tra questi ebbe enorme successo la 'rosa dei venti' che consisteva in una sorta di lotteria con tanto di premi assegnati mediante una ruota girevole verticale, che riproduceva, appunto, nella forma la rosa dei venti. Sulle sedici punte erano segnati i nomi di sedici presunti golpisti, uno dei quali veniva estratto ad ogni giro. Tra la gente presente venivano distribuiti sedici biglietti, contenenti ognuno uno dei nomi presenti sulla ruota, al prezzo di dieci lire al grido di "Uno di questi signori non vale più di dieci lire . . .". Girata la ruota, il nome estratto era oggetto di commenti del tipo "Maletti! Chi ha Maletti? Vediamo anche chi è questo generale e cosa ha fatto . . .", il gioco diventava rapidamente uno strumento di controinformazione.

Anche il movimento femminista, tra i fenomeni di maggiore rilievo per portata e radicalità, trova nel teatro una forma nuova non solo di rivendicazione ma di agire vero e proprio.[13 L'argomento del teatro femminista è trattato per esempio da M. G. Silvi in Il teatro delle donne, Milano, La Salamandra, 1980].

Nel 1976 il Centro femminista di Padova esce con uno spettacolo proprio con l'intento di fare politica al di fuori delle strutture maschili e attraverso mezzi nuovi. Il testo "Le indomabili isteriche" vuole essere una rivendicazione di quattro figure storiche delle lotte delle donne: le streghe, le sciantose dell'ovest, le suffragette, le partigiane. Il teatro femminista nasce in strada, come protesta e come critica ai condizionamenti culturali, gli spettacoli sono concepiti come interventi in ogni situazione di lotta. Si trasformano in momenti ironici con l'aiuto della mimica e attraverso lo stravolgimento dei testi delle canzoni in voga. Il 6 gennaio 1977, a Roma durante una manifestazione sul tema "Riprendiamoci la notte", la canzone di Marinella venne riproposta in questi termini:

Questa di Marinella è la storia vera

Lavava i piatti da mattina a sera

E un uomo che la vide così brava

Pensò di farne a vita la sua chiava

Tra gli altri gruppi teatrali politici troviamo La Maddalena, formato a Roma nel '72 su iniziativa di Dacia Moraini.

Attraverso il teatro si tenta una riflessione sulla condizione della donna e si privilegia il lato informativo come nello spettacolo "Mara, Maria, Marianna" durante il quale erano distribuiti dei volantini da diffondere poi durante le manifestazioni. Il gruppo inizialmente è formato solo da professioniste salvo poi aprire, in un secondo momento, le porte alle non professioniste allo scopo di risalire alla sorgente espressiva ed esistenziale.

Il gruppo milanese "pentole e fornelli", realizza un tipo di teatro politico la cui peculiarità è quella dello spettacolo - sketch. Gli spettacoli venivano realizzati in brevissimo tempo, inventando poesie e canzoni, ponendo l'accento sull'autoironia e sulla risposta del pubblico.

La storia delle "streghe" di Roma inizia nel 1973, con "Storia di una cosa". Le streghe cominciano recitando seguendo un copione, poi si passa all'improvvisazione delle battute, infine lo spettacolo viene vissuto come luogo di espressione in cui la storia viene interrotta da momenti di improvvisazione. Di fronte al pubblico, lo spettacolo diventa autocoscienza, luogo dove gli eventi accadono, non solo quindi il luogo dove gli eventi si rappresentano o si celebrano.

Per tutti questi gruppi teatrali è chiaro che teatralità e presenza politica tendono a coincidere, quasi a rispondere in maniera diversa ad una serie di bisogni dettati da una situazione generale di crisi. Il forte desiderio di volersi rendere a tutti i costi visibili, al di fuori di spazi istituzionali, fa si che l'emarginazione diventi momento di creatività. Il gruppo "teatro emarginato" nasce a Milano nel gennaio '75, in seguito all'occupazione di uno stabile, il Fabbricone, organizzata da Autonomia Operaia. Il suo fine può essere sintetizzato in una frase: "Non siamo spettacolo della contestazione, ma siamo in lotta per la rivoluzione" [14 Si tratta di una risposta di un esponente del teatro emarginato contenuta all'interno di una intervista di R. Vannucci e S. Orlandini dal titolo: Indiani? Teatro emarginato? Pubblicata su Scena 3\4 del settembre '77, pp.10-14].

Il gruppo nasce come teatro di piazza, gli 'attori' si truccano da clawns e vanno a fare animazione davanti alle scuole. I temi sono quelli della vita quotidiana: il sesso, la famiglia, il lavoro e tutto ciò che nella società rappresenta un tabù o un ostacolo. Gli spettacoli sono strutturati come sequenze di scenette aventi un filo conduttore e legate dalle parole di un narratore. Il gruppo successivamente si espande in altre città con alcuni dei suoi esponenti che si trasferiscono a Firenze, a Roma e a Gubbio fondando altrettanti gruppi del teatro emarginato. Gli appartenenti al gruppo ritenevano che il teatro in quel momento doveva consumare tutto il suo sperimentalismo nelle strade, nel contatto con la gente e allo stesso tempo verificare la propria vocazione politica in rapporto diretto con i movimenti politici. Il fine è quello di trasformare il teatro in un mezzo a cui si possa accedere liberamente, teatro come consuetudine di vita, come un qualsiasi oggetto quotidiano.

I percorsi dei gruppi teatrali procedevano attraverso una profonda adesione alle problematiche del territorio, da qui l'esigenza di approfondire discorsi sulle istanze politiche. I Gruppi Teatrali di Base compiono una ricerca al di fuori dei margini di professionalità. L'esistenza dei gruppi era fluttuante, per lo più di breve durata. Da fenomeno spontaneo, all'inizio sottovalutato, l'esperienza dei gruppi di base divenne un fenomeno di importanza e di incidenza non inferiore a quella del teatro ufficiale. Questa larga diffusione dei gruppi di base portò all'esigenza di una qualche forma di coordinamento, non tanto per organizzare in qualche modo le diverse realtà o per cercare di darsi una struttura istituzionale, quanto per chiarire a se stessi e agli altri le ragioni e i modi della loro esistenza e del loro operare, per avere la possibilità di un confronto, per conoscersi e autoidentificarsi. [15 L'incontro più importante dei G. B. si svolse a Bergamo il 5 dicembre '76 e dal 18 al 20 marzo '77 a Cascina Terme ebbe luogo il primo convegno nazionale dei G. B. bisogna ricordare che in realtà un primo convegno si era svolto a Perugia nel novembre del 1970 ma venne dimenticato].

'Gruppo di Base' non è solo la volontà di fare teatro della spontaneità ma si è in presenza di una forte collocazione politica di sinistra. Lo scopo è quello di costruire una propria soggettività attraverso l'approfondimento della propria condizione sociale e culturale. Il programma dei G. B. comprende: espressione e analisi delle soggettività; recupero critico del patrimonio culturale espropriato; confronto con le diverse soggettività del sociale e che percorrono lo stesso cammino. Molti gruppi cominciarono la loro esperienza per caso o sulla base di motivazioni generiche: rifiuto del consumismo, voglia di fare teatro.

Il collettivo Tupac Amaru è un esempio di gruppo teatrale di base. L'attività del collettivo si muoveva in stretta relazione con quelli che erano i problemi del quartiere dell'Isola a Milano. Il collettivo comincia a muovere i suoi primi passi nel '75, inserendosi nel centro sociale del quartiere e quindi in rapporto organico con la vita degli abitanti, con le loro lotte e le loro avanguardie.

La fine della stagione delle grandi lotte segnò il declino dei gruppi teatrali di base. Alcuni proseguirono la loro attività all'interno della ricerca e della sperimentazione confluendo, però, all'interno di spazi teatrali più istituzionali. Altri, di ispirazione più strettamente politica, si riciclavano in altre attività sociali sottolineando ancora una volta di più che il teatro non era che uno strumento di lotta e le mutate condizioni sociali rendevano inutile il proseguimento delle loro esperienze.

L'esperienza bolognese.

A conclusione di questa breve rassegna di esperienze teatrali nate dalla politica vale la pena dedicare maggiore spazio all'espressione creativa del movimento studentesco bolognese in quanto, forse più di altre, si rifà al concetto di "rivoluzione come festa". L'esperienza bolognese rappresenta il momento di congiunzione tra progetto d'avanguardia e la sua diffusione a livello di massa. [16 Tesi sostenuta da Maurizio Calvesi nel testo Avanguardia di massa, Milano, Feltrinelli, 1977.]

I segni premonitori di questa esperienza rivoluzionaria si ritrovano nelle autoriduzioni alla mensa universitaria, nelle feste di Radio Alice, nella lotta per la casa, nelle autoriduzioni di dicembre e gennaio.

I protagonisti di queste lotte sono militanti alla ricerca di una identità, ma anche proletari e giovani delle università, gli stessi che saranno poi protagonisti del febbraio '77.

Un altro fenomeno, che sottintende segni anticipatori è sicuramente lo "Jacquerie".

Alcune intuizioni sulla realtà bolognese portano i militanti del "Collettivo Jacquerie", ad optare per iniziative centrali, come autoriduzioni nei cinema e nei ristoranti di lusso. Jaquerie non è ancora un movimento ma un comportamento di rottura.

Spesso ingenuità e balordaggini indeboliscono le manifestazioni di questo comportamento.

Nella manifestazione del ventidue gennaio, contro la militarizzazione della città, manifestarono in corteo tutte quelle forme di espressione che in molti avevano assegnato solo a Radio Alice e alle femministe [17 Ombre Rosse n.21, giugno '77, democrazia e organizzazione nel movimento: l'esperienza di Bologna].

"Jacquerie" non segna solo l'incontro tra i vecchi militanti e i nuovi soggetti sociali, ma racchiude gli elementi che renderanno esplosivo e duraturo il movimento bolognese.

Per le sue concezioni d'organizzazione democratica, per un retroterra di vicende passate, è il movimento che più d'ogni altro ha saputo inglobare un pluralismo di bisogni, di espressioni culturali, di contributi politici .

Tutto questo è stato possibile anche grazie alla figura di Radio Alice, grazie a questa emittente il movimento non ha dovuto rinunciare alla propria autonomia, soprattutto davanti ad un problema tattico come quello dell'informazione.

Nella prima fase di esplosione del movimento a livello nazionale, prevale una certa omogeneità politica; nella seconda fase, quando l'apparato statale si orienta per lo scontro frontale, le strade cominciano a divergere, in poche sedi il movimento mantiene una propria autonoma identità.

Infatti, al termine dell'Assemblea nazionale del movimento, svoltasi il primo maggio, la maggior parte dei compagni del movimento non nascondeva una certa delusione. In molti casi le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria rappresentarono un freno rispetto alla ricchezza del movimento, grazie ai tentativi di farlo quadrare entro i confini della linea del programma.

A Bologna la tattica del movimento è passata attraverso mille contraddizioni e discussioni collettive .

Da una parte ci sono delle aperture verso il movimento come quelle di Lotta Continua, compreso il giornale; dall'altra parte si esprime una chiusura come il PdUP e AO .

Il grosso del movimento ritrova se stesso nella carica antiistituzionale, riconoscendo anche quelle stesse aspirazioni che erano state soffocate dalla logica organizzativa, che intanto si era trasformata da mezzo in fine della militanza politica .

Si comincia allora ad assumere le istanze del movimento come quadro di riferimento e si abbandona la difesa a priori della posizione politica.

Nei giorni successivi all'undici marzo, gli studenti si ritrovavano di fronte a problemi, che già da molto tempo animavano le discussioni delle assemblee: il rapporto con la classe operaia, lo scontro con lo stato, l'uso della forza. In questo momento questi problemi vengono spogliati dalla loro astrattezza, in quanto si ripresentano quotidianamente nel loro spessore quotidiano.

Le assemblee decidono il carattere delle manifestazioni, la loro organizzazione interna, il percorso.

I momenti più alti della mobilitazione coincidevano con il fiorire di strutture autonome di ogni tipo, nelle facoltà nascevano commissioni su temi specifici, collettivi teatrali, commissioni di controinformazioni o di propaganda esterna .

Si moltiplicano gli interventi nelle fabbriche, nei quartieri, intanto che l'università era serrata. [18 Serrata dalle forze dell'ordine nei giorni successivi l'uccisione di Lo Russo].

Molto poteva anche l'informalità di alcuni piccoli gruppi, che si ritrovavano nei bar, nelle case, nelle osterie; ciò dà senso alla parola d'ordine:" covi qui, covi là, covi in tutta la città".

L'occupazione.

Nei giorni dell'occupazione [19 All'inizio di marzo quasi tutte le occupazioni cessarono, ma le mobilitazioni continuavano in altre forme. Le occupazioni si trasformavano in assemblee permanenti, dove si discutevano tematiche legate alla condizione degli studenti e al rinnovamento della didattica], l'intera cittadella universitaria veniva ricoperta da murales, scritte murali, e soprattutto si moltiplicano le pubblicazioni informali .

Piazza Verdi diventa il centro di moltissime iniziative: improvvisazioni teatrali, spettacoli di mimi e clown, drammatizzazioni spontanee. [20 Ciò che avvenne nei mesi di marzo, aprile e maggio '77, non solo a Bologna ma anche in altre città, fu l'espressione di una radicale forza di rottura contro le istituzioni, letterarie, artistiche, ciò per poter circolare direttamente nella storia complessiva della lotta di classe. La scrittura, la comunicazione, la creatività, le nuove pratiche artistiche trasgressive, che dovevano e potevano uscire, nelle intenzioni delle giovani avanguardie del movimento, dalla separatezza in cui viveva l'arte, così come la tradizione anche più o meno avanzata e progressista l'aveva concepita. Vedendola così trasformata in strumento di rottura dei codici storicamente esistenti, mezzo sovversivo messa a punto di un simulacro diverso, tramite l'istituzione di nuove forme di espressione, comunicazione e significato.

A. De Paz, arte, utopia, politica, in forme dell'utopia, AA.VV.., la pietra,1979, Milano, p.56]

Il diciotto febbraio, in occasione del carnevale, gli studenti del DAMS, portano in piazza un grande drago, destinato a diventare il simbolo del movimento bolognese.

I murales, il fenomeno degli indiani metropolitani, il drago opportunamente dipinto, protagonista ironico e simbolico di tanti cortei e manifestazioni insieme alla banda musicale, che accompagnava come il drago le varie iniziative, sempre in testa al corteo, sono eventi che danno un volto nuovo alle manifestazioni. Tutto si pone come alternativa segnica e di negazione di una politica del sistema.

Come segnicità alternativa si sono posti i comportamenti, i visi dipinti, le musiche, le azioni di piazza del movimento e non solo.

La segnicità artistica e creativa, non è più in tali esperienze il riflesso della realtà, ma si presenta come qualcosa che attraversa il reale e da questo ne viene attratta; ma anche dal quotidiano, dal senso comune al fine di rovesciarli per potersene riappropriare, in modo più o meno simbolico, riappropriarsi degli spazi, degli eventi, del "fluire della vita", cercando di coinvolgere gli increduli, al di là delle paure e delle angosce, che il potere cerca di imprimere attraverso la celebrazione del proprio dominio e dei propri fasti [21 AA.VV., forme dell'utopia, cit.].

Tutte le azioni sono indirizzate verso una nuova concezione del sociale, non più quella capitalistica, ma verso una concezione indirizzata verso il segno dell'utopia e del desiderio, tutto ciò diviene pratica politica.

I movimenti del drago, che diviene presenza attiva delle manifestazioni, si collocano, in questo quadro, come movimenti simulacrizzati, di un certo modo, di riappropriarsi della vita [22 "Riprendiamoci la vita " , è stato uno degli slogan più accesi del '77.].

E nel desiderio di voler cambiare la vita, l'arte assume un senso di primaria importanza, diviene figura pittorica esemplare dell'utopia.

Certamente il movimento fu, almeno fino al marzo '77, una bella "festa mobile", lo fu anche successivamente [23 Anche sé dopo 11 marzo, (data che significò per il movimento l'inizio dello scontro diretto con lo Stato, a causa dell'uccisione di Francesco Lorusso), la creatività perse quel vigore che aveva esercitato fino a quel momento] , negli scontri e durante le manifestazioni. Ma non fu la festa allegra del mondo borghese, la festa come diversivo e come divertimento, "ma fu la festa del senso antico, quel tipo di festa che genera la tragedia e che è festosa solo in quanto contiene in sé la fine tragica e la corteggia"[24 G. Cocchi,M. Pieralisi, 1977-1987 dieci anni cento domande, Bologna, Agalev, 1988,p. 172.].

E il movimento bolognese si manifesta sicuramente come una festa, con le sue azioni di piazza, rappresentazioni, con i suoi giochi di falsificazione, sabotaggio e simulazione [25 Importante in questo senso il libro di K. Gruber, cit.]; utilizzando tutto questo come strumento di comunicazione sociale e di autorappresentazione.

Da questo punto di vista il movimento si colloca nella precedente esperienza delle feste giovanili dei primi anni '70, con la differenza che la loro pratica festiva lega insieme creatività e politica, momento festivo e conflittualità sociale.

Contrariamente alla pratica festiva dei primi anni '70 che si basava essenzialmente sull'idea intesa "come spazio utopico e liberatorio".

Le feste che si svolgono nella primavera del '77 e in generale tutta la dimensione festiva del movimento, non sono una semplice spettacolarizzazione della vita sociale, ma rappresentano un efficace momento di critica a ciò che il "situazionista" Guy Debord definisce come "contemplazione passiva" della società dello spettacolo:

la divisione è l'alfa e l'omega dello spettacolo.Nello spettacolo, una parte del mondo si rappresenta davanti al resto e gli è suoeriore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa divisione. Ciò che lega gli spettatori fra loro è solo un rapporto irreversibile nel punto focale di mantenere meglio l'isolamento. Lo spettacolo riunisce il diviso, ma lo riunisce in quanto diviso. [26 G. Debord, Commentari alla società dello spettacolo, Milano, Sugarco, 1990, pp. 31-37.]

Il movimento ha dato vita ad una spettacolarizzazione dal basso della politica. Contrariamente alla passività e alla divisione, il movimento bolognese ha basato la sua pratica sociale e artistica su un processo di partecipazione attiva e sul rifiuto della delega A questo punto è necessario far riferimento al "situazionismo"[27 Sul situazionismo vedi: M. Perniola, "I Situazionisti", Agaragar, 4, aprile agosto 1972. E ancora sul rapporto tra arte e vita quotidiana e le relative problematiche sulle avanguardie storiche vedi: M. Perniola, L'alienazione artistica, Milano, Mursia, 1971.], in quanto rappresenta l'avanguardia che meglio è riuscita a cogliere la consapevolezza politica dell'intenzione dadaista nell'epoca del capitalismo, formulando ipotesi circa l'agire politico dei movimenti ripresi negli anni '70.

La saldatura fra creatività e politica viene fornita dai Circoli del Proletariato Giovanile [28 I Circoli del Proletariato Giovanile nascono a Milano sul finire del '75 e gli inizi del '76. Proprio nel senso di questa saldatura è esplicativo il libro prodotto dai circoli stessi: Sarà un risotto che vi seppellirà, Milano Squi/libri 1977.] , grazie ai quali prendono vita forme originali di aggregazione, che partendo da considerazioni sulle condizioni di vita dei disoccupati, degli studenti, delle donne, dei giovani del quartiere, fino a proporre una concezione della festa spiegata come importante momento di comunicazione, così com'è il teatro.

Le feste come rappresentazioni di momenti di vittoria contro la solitudine, la noia a cui costringe la borghesia; momento di scontro sul terreno del personale, in quanto luogo di sperimentazione dei rapporti umani, e del comportamento della cultura giovanile. Sono questi gli elementi che emergono nel '77 bolognese.

La festa per i giovani del movimento non rappresentano l'evasione, ma fase interna alle tematiche delle lotte per la trasformazione rivoluzionaria dell'esistenza.

Ampio spazio alle pratiche creative viene dedicato dal Collettivo A/Traverso [29 Il movimento emerse insieme al movimento delle donne al proletariato giovanile.]; la festa e spazio di aggregazione e socializzazione e con la nascita di Radio Alice la festa si traduce anche in importanti momenti di piazza:

"come angeli della morte dal super-io sviluppato vengono continuamente fratturate la nostra capacità di produrre esistenza modificata, la loro anima si chiama terrorismo.

Arrivano da un altro pianeta, pianeta di morte. Non si sa neppure chi siano, non abbiamo mai spartito nulla con loro: sono gendarmi che riportano grigiore alla nostra vita.

Il progetto capitalistico e di ridurci al silenzio costringerci ad accettare la miseria dello sfruttamento. Cominciamo a pensare alla quantità di bisogni e di voglie che emergono in ogni momento della nostra giornata, cominciamo a considerare la totalità dei divieti che la società oppone ad ogni nostro desiderio: contro tutto questo abbiamo imparato a stare insieme, uniti contro la tristezza di questa società, il mercato del piacere che si rende sempre più puro spettacolo dei propri riti: la spese al sabato, il cinema, la famiglia, la prestazione.

FACCIAMO LA FESTA ALLA REPRESSIONE.

Riprendiamoci la piazza ,liberiamo i desideri dalle galere del quotidiano. La piazza è il palcoscenico, si mette in scena la repressione, la si esorcizza, nel gesto. La piazza è il luogo fisico dell'incontro, subito dietro lo specchio, infranto, subito dopo le sbarre divelte. Portiamo in piazzo, portiamo la nostra vita, rompendo la finzione della rappresentazione nel rito collettivo, oltre le colonne d'Ercole, sempre nella contraddizione fine/inizio". [30 A/Traverso 1973-79, ristampa p. 9. Il testo è il manifesto per una "festa" di piazza, convocata per il 28 marzo '77, il titolo del manifesto era per l'appunto "facciamo la festa alle repressioni".]

Piazza Verdi diventa il centro di varie iniziative, fatte di canti, danze, giochi, azioni teatrali.

Le sedi occupate del DAMS ospitavano feste, che insieme alle assemblee rappresentavano momenti di socializzazione [31 "La rivoluzione è una cosa seria ma si fa con allegria", "Facciamo dell'università il dipartimento del desiderio e del bisogno", sono alcune delle scritte che si affacciavano sui muri delle strade, delle aule e sulle pagine dei volantini.].

Le feste si sono trasformate in delle pratiche ricorrenti, veri e propri happening, che spesso si concludono con cortei notturni.

E' proprio nell'occasione della festa del carnevale, il 18 febbraio '77, fa la sua comparsa il drago, che come già detto accompagnerà quasi tutti i cortei del movimento.

Il drago costruito al DAMS durante l'occupazione, generalmente insieme alla banda del movimento, apriva i cortei.

La banda musicale non nacque insieme al movimento studentesco ma esisteva già da prima come racconta Stefano Liporesi il trombettista del movimento [32 Dichiarazione registrata l'otto maggio 1999.]:

La banda nasce da un gruppo che già suonava musica jazz in una cantina.

Venuti a conoscenza degli avvenimenti di marzo il gruppo prese gli strumenti in spalla e uscì per ritrovarsi in strada insieme agli altri .

La banda non ha avuto un numero fisso di componenti, ai tempi della cantina eravamo solo in quattro, poi si aggiunse Aldo Gionata, il numero variava per ogni manifestazione, c'è stato un momento in cui eravamo in dodici. Non c'eravamo solo noi a suonare ma anche altra gente, che intorno ballava, o altri che facevano azioni teatrali. Tutto veniva felicemente improvvisato, le azioni le musiche nascevano sul momento, seguendo qualche strano tema che era stato lanciato in quella contingenza.

La banda insieme al drago era una presenza caratterizzante del movimento, rappresentava il lato creativo:

Un nastro di Radio Alice che si chiamava Sarabanda di Alice, conserva delle riedizioni della banda,

La banda usciva per fare politica, nel proprio modo, per coinvolgere il personale nella politica, affinché la politica non fosse una cosa astratta ma una cosa concreta vissuta giorno per giorno; ma era anche divertimento, gioco.

Si portavano in piazza vecchi motivi popolari, rivisitati, ma anche motivi come "l'internazionale" fatta a swing e musiche di chiesa eseguite nello stesso modo.

Prima del mese di aprile il movimento fu invitato in Germania, per un giro di informazione dagli studenti tedeschi, e la banda partì insieme ad altri elementi del movimento:

Ci fu una tournée in Germania, quello fu un momento molto particolare. In Germania ci chiamavano indiani metropolitani, questo nostro modo di essere indiani all'inizio non fu subito chiaro, anche per chi aveva idee di sinistra. In Germania ci siamo fermati per molto tempo, passando per Norimberga, Berlino, Francoforte, Friburgo, un giro abbastanza grande, una vera Tournée. Suonavamo per strada e spesso mantenendoci a cappello, riuscendo anche a guadagnare bene.

Il viaggio in Germania serviva per spiegare cosa stava succedendo in Italia in quel momento.

L'iniziativa era partita da alcuni collettivi politici studenteschi al movimento nazionale. Partimmo noi di Bologna perché in quel momento eravamo, forse, la situazione più avanzata.

Partimmo noi della banda, alcuni di Radio Alice, e alcuni "politici."

La realtà studentesca tedesca era in uno stato di arretratezza rispetto alla nostra, pari a quella italiana di qualche anno prima quando predominavano i gruppi politici, è chiaro che in questa situazione si faceva fatica a capire l'uso della creatività.

Nelle sale dove si svolgevano le assemblee noi entravamo suonando, anche per spezzare la pesantezza delle situazioni, ma ciò provocava stupore e incomprensione, poi suonavamo durante le manifestazioni cittadine raccogliendo le stesse reazioni. Durante una manifestazione suonammo completamente accerchiati dalla polizia, che continuava a seguirci passo per passo.

La prima vera uscita ufficiale della banda è quella del 22 aprile. La presenza della banda riuscì a smorzare le tensioni e a disorientare le forze dell'ordine :

Dopo la Germania la banda fece ritorno in Italia per il 22 aprile, in occasione di una manifestazione non autorizzata, la presenza della banda riuscì in qualche modo a smorzare le tensioni in atto. Arrivammo in piazza che erano circa le undici di sera, il coprifuoco cominciava a mezzanotte, e ci siamo messi a suonare immediatamente. Entrammo in piazza Maggiore suonando, fra lo stupore delle persone che ci credevano ancora in Germania.

Quella sera ci fu l'incatenamento di quelli di Radio Alice, e intanto che noi suonavamo la polizia cominciò a stringerci sempre di più, la gente cominciò a scappare, sentivo qualcuno dietro di me che urlava :"INFAMI". Piano piano siamo riusciti a scappare. [33 Il Resto del Carlino del 23 aprile, in un articolo dal titolo "università: dopo una notte di tensione la giornata e trascorsa senza incidenti", a p. 1, descrive in questo modo quanto accadde il giorno prima :qualche minuto prima dell'ultimo infruttuoso tentativo di incolonnarsi in corteo (gli extraparlamentari si erano detti disposti a dirigersi verso un punto qualsiasi della città, anche verso la periferia), sono scesi sul "sentiero di guerra" alcuni "indiani metropolitani" armati di tromba, trombone, sassofono, grancassa. Per oltre mezzora hanno inscenato uno spettacolo di musiche e di danze accompagnati dal battere ritmato delle mani degli altri studenti. Una sorta di "happening" improvvisato che ha avuto il potere di allentare la tensione in piazza Verdi, esasperandola però ai margini della città universitaria. Le forze dell'ordine infatti, hanno temuto che i canti preludessero alla partenza di un corteo. La massa degli ultras si spostava ritmicamente ora verso le torri, ora verso la sede centrale dell'università dando l'impressione di essere pronti a scattare da un momento all'altro]

Le tre giornate del convegno contro la repressione in settembre rappresentano forse il punto più alto del movimento ma anche la fine della creatività:

A settembre tutto finì, e seguirono degli anni in cui per me, ma anche per altri come me, fu molto difficile riuscire a capire.

Solo cinque anni dopo cominciai veramente a fare un resoconto di quanto era successo, posso dire che mi sono serviti dieci anni per riuscire a capire veramente e spesso penso con molta amarezza che fu solo una enorme bolla di sapone.

I DADADAMS.

In quei giorni venivano realizzate azioni di piazza, con chiara intenzione provocatoria e di stampo Dadaista. Tenute durante le assemblee, avevano il fine di sconvolgere il linguaggio e gli schemi propri dei gruppi politici. I gruppi erano per lo più composti da studenti del DAMS e si davano il nome di DADADAMS. [34 I Dadaisti già in tempi più lontani, avevano dichiarato guerra all'arte nella sua dimensione di separatezza dalla vita quotidiana, criticandola duramente, non solo a parole ma anche con azioni eclatanti. Essi rivendicavano il diritto di poter "dire tutto", denunciando "l'innocenza delle parole", e vedevano nell'uso vincente della lingua la più bieca delle convenzioni . Il non senso doveva rimpiazzare il senso, questa era la vera conquista del dadaismo. K. Gruber, alla ricerca di una "poetica della trasformazione", in l'avanguardia inaudita, cit,, p.21-22.]

Durante un'assemblea dell'otto febbraio '77, uno studente mette in "scena" l'impiccagione realmente avvenuta qualche giorno prima, di un giovane proletario rinchiuso in manicomio, il suo nome era Giorgio Tobia.

Intanto una ragazza urla "Vendo Portafogli", e mette in scena la sua rabbia da disoccupata. Un altro legge un giornale surrealista, che dice cose strane e poi rivela che quel giornale si chiama "L'Unità". Un altro parla del fatto che già da molto tempo cerca casa e senza risultati, sorprendedosi alla fine scoprendo che non gli importava.

Altre azioni provocatorie vengono realizzate durante i corsi e le lezioni universitarie. La critica alla didattica o la revisione del trenta politico vengono fatte attraverso performance anche in piazza, rappresentazioni collettive, attraverso le quali si risponde anche ai momenti di tensione.

Si improvvisano file indiane per aggirare i divieti a manifestare, si gioca davanti le file delle forze dell'ordine; al divieto di scrivere sui muri si risponde costruendo dei muri di cartone sui quali poter scrivere, e dimostrare che non è certo un divieto a poter fermare la creatività, dettata da una nuova coscienza politica che reclama nuovi bisogni.

Il 16 marzo [35 A. Franchini, il Resto del Carlino17 maggio '77, p. 1.], in attesa della riunione indetta dal collettivo politico giuridico e da quello dei lavoratori, un gruppo di studenti fu bloccato nel tentativo di scrivere sui muri e di trasformare l'attesa in una festa [36 Gli studenti volevano dipingere i muri della cittadella universitaria e fare un banchetto per i compagni arrestati, per poi dirigersi in corteo in piazza Maggiore per la manifestazione.], ma a causa delle forze di pubblica sicurezza si sono ritrovati nell'impossibilità materiale di fare un'altra "festa alla repressione" [37 Le proibizioni della questura erano tassative: niente assemblamenti, niente cortei, nessuno striscione su colonne e muri.].

L'attacco a posizioni politiche opposte diventa spesso ironico, gli scontri che si verificano durante le assemblee vengono poi riproposti in piazza.

Così anche per la morte di Francesco Lo Russo, gli studenti rispondono non solo con la violenza e la rabbia, ma anche con la creatività e l'ironia.

Durante le cariche della polizia nei giorni di marzo, uno studente, Antonio Marino, suonava il pianoforte sulle barricate [38 Il pianoforte borghese. / trascinato sulla strada/ fra due barricate/ si trova stupito/ a suonare note/ più calde, più dolci./ Il mogano lucido/ circondato dal fumo/ sporco dei lacrimogeni./Ed uno strano pianista/ deposti i sampietrini/ suona imprevedibile/ la sua serenata./ Sul suo capo/ sassi e cose passano./ E una voce allarmata/ oltre la barricata/ più in là 100 metri/ " un pianoforte, attenti/ può essere nocivo."/ Sorridono i compagni e la tensione cala/ l'aria si fa più dolce/ sul segno lucente/ si ammucchiano i pavè./ Il pianoforte borghese/ accompagna gli scontri/ e si sorprende/ più giovane/ in mezzo alla strada/ guidato da un pianista/ senza frac.

Si tratta della poesia di un giovane del movimento, trasmessa anche su Radio Alice e inserita nel testo : Bologna marzo 1977. . . fatti nostri. . . p. 82-83, cit.

M. Marino, Non sparate sul pianista, Pavia, Libro Libero, 1978, p. 26.], e da quel momento entrò a far parte della storia del leggendaria, utopica del '77 Bolognese:

"Il cielo era nuvoloso a forma di fumo. Quella volta abbiamo fatto una barricata di strumenti musicali. Appartenevano ad un conservatorio. Trombe, clarini, contrabbassi, violini e tamburi, ma il più voluminoso era un meraviglioso pianoforte a coda.

Imponente stava in mezzo alla barricata e sembrava, lui da solo il vero argine che avrebbe impedito che noi fossimo travolti dalla polizia che minacciosi se ne stavano dall'altra parte coi fucili puntati.

Poi è partito un candelotto. Sassi. Fucilate. Pistole. Fucilate. I bossoli volavano sulle teste infuriate e allora mi è parso di sentire una musica. Da dove viene? Viene forse dai nostri gesti, dalla nostra rivolta. Si è vero. E' vicina questa musica. Questa musica è in noi.

Più volavano i proiettili, più la musica cresceva, ritmica, imponente, meravigliosa.

Era Antonio che suonava sul pianoforte a coda in mezzo alle barricate la musica che era in noi, e sulla schiena aveva un cartello con so scritto :NON SPARATE SUL PIANISTA". [39 M. Marino, Non sparate sul pianista, Pavia, Libro Libero, 1978, p. 26.]

Le feste che venivano organizzate avevano ovviamente lo scopo di produrre controinformazione, su quanto stava accadendo e sulla repressione.

Nonostante le manifestazioni cittadine erano condizionate dal divieto imposto dal prefetto, il movimento riuscì ugualmente ad esprimere, durante la primavera, il massimo della creatività.

I divieti, la repressione, la stessa chiusura da parte della città, servirono come elementi incentivanti verso lo sviluppo della creatività.

E' questo il momento in cui cominciano a fare la loro comparsa i clown e i mimi controinformativi.

Il 25 e il 27 marzo ci furono spettacoli di controinformativi, il canovaccio era costituito dagli scontri dell'undici e dodici marzo: i clown controinformativi, le danze, la polizia chiamata dal rettore Rizzoli, la polizia uccide il compagno Francesco, la stampa dà notizie "false e tendenziose. . .",viene arrestata Radio Alice. . ."Zangheri [40 In quegli anni sindaco di Bologna.], fratello nostro . . .perdonaci!", si bruciano i carri armati, danze.[41 Autori molti compagni, Bologna 1977. . . fatti nostri. . . , cit.]

Per aggirare i divieti a manifestare, vengono organizzate gare di bicicletta durante le quali i partecipanti attraversano la città portando sulle bici cartelli con scritte contro la repressione.

Si cerca soprattutto di sensibilizzare la gente, sui numerosi arresti avvenuti nei giorni successivi la morte di Lo Russo, lo si fa con azioni teatrali, riproposte poi il 28 marzo, durante la "festa alla repressione", tenuta in piazza maggiore.

Le azioni non solo rappresentano l'uccisione di Francesco Lo Russo, ma anche fatti il cui "canovaccio" è costituito dai fatti di marzo, dagli arresti ali scontri con la polizia. Sono proprio gli articoli dell'Unità ad essere "drammatizzati", storie centrate sul comico e sul paradossale.

Il pubblico di queste azioni è costituito per lo più dal movimento stesso, che ricostruiva o cercava di ricostruire gli avvenimenti.

Ancora durante "la festa alla repressione" viene realizzata l'azione del finto assalto al comune, come se si trattasse di una fortezza o di un castello inespugnabile e irraggiungibile.

Attraverso un gioco di mimi, le persone sdraiate a terra fingevano di scalare una montagna per poter raggiungere la roccaforte: il comune .

Ma i guardiani (i vigili) della roccaforte abbassarono il ponte levatoio, così iniziarono a scalare le finestre della fortezza fino al punto di riuscire ad affacciarsi nella stanza dove si svolgevano i matrimoni. La festa in piazza si accompagnava con musiche, danze, girotondi davanti ad oggetti costruiti, come il girotondo intorno il carro armato di cartone al quale poi fu dato fuoco, un rito collettivo, un esorcismo con la relativa catarsi.

"Attori" con maschere e costumi processavano lo Stato, il PCI, l'ordine pubblico.

Il giudice: una belva con una enorme maschera rossa;

il PCI: intanto che parlava gli cresceva il naso e la vergogna;

la polizia: parlava e sparava;

i compagni: rappresentavano i sampietrini e protestavano per essere stati sfruttati dagli operai del comune nella zona universitaria e per essere stati sostituiti con l'asfalto;

infine Renzo e Lucia: ovvero la DC e il PCI, si giurano amore leggendo l'ultima significativa pagina dei Promessi Sposi. [42 G. Giunchi, "processo al complotto", Lotta Continua, 11 Giugno '77.]

Una azione che si inseriva in quella festa del "processo al complotto", intanto che la banda musicale del movimento suonava e accompagnava la festa.

Il processo terminò con l'incatenamento di alcuni redattori di Radio Alice, che volevano protestare contro gli arresti successivi all'undici marzo.

Durante la festa ci fu un comizio contro la repressione con un intervento sul palco da parte di Julian Beck, che in quei giorni era a Bologna con il Living.

La creatività del movimento studentesco trasforma il corteo, elemento di ritualità politica, almeno fino a quel momento, in qualcosa di diverso, lontano dalla fisionomia rituale degli anni passati: cortei notturni, cortei che si svolgono correndo, cortei con striscioni colorati, con danze, e girotondi, cortei drammatizzati, striscioni disegnati, bandiere colorate, pupazzi raffiguranti personaggi politici [43 Ciò accadeva a partire dal '68, nel '77 questi elementi vengono ripresi e radicalizzati].

"Trombe, grancasse, e clowns"[44 È il titolo di un articolo di A. Franchini, apparso sul Resto del Carlino il 29 aprile '77, l'autore aggiungeva: trombe, grancasse e clowns nel corteo degli studenti ultrà.]: cosi si presentava la manifestazione del 28 aprile indetta dal movimento studentesco.

La manifestazione era divisa in quattro tronconi, i manifestanti appartenevano per lo più a lotta continua e al collettivo Jacquerie, convinti di non voler subire i percorsi imposti dalla polizia ma nemmeno di cercare lo scontro. I quattro tronconi si riversarono su via Zamboni, intanto un gruppo inscenava un happening, le marce venivano scandite da trombe, sassofono, trombone violino, grancassa.

Un gruppo di ragazze, truccate e con il viso ricoperto di farina e di cipria ballavano agitando dei fazzoletti colorati.

E poi c'era il drago, il lungo drago che sfilava in testa al corteo, con una grande testa di cartone, e molti ragazzi piegati sotto un lungo telone di stoffa rattoppata e colorata.

Dietro il drago sfilavano due "testoni" di carta pesta, che non rappresentavano altri che Andreotti e Berlinguer. Davanti a questi due personaggi c'era un cartello con su scritto "VIVA GLI SPOSI", intanto che altri ragazzi lanciavano manciate il riso

Le mongolfiere.

". . . Vorrei raccontare uno per uno tutti i giorni di questo mese bellissimo, invece il ricordare scivola confuso su un pomeriggio in piazza maggiore, adesso provo a raccontare: costruivamo delle mongolfiere con giuliano, e poi le facevamo volare alte, cantando delle canzoni; un pomeriggio venivo da una di queste strane cose, che non so bene come chiamarle, dove si faceva funzionare un po' tutto, saltando come matti e urlando "vola!! vola!!", oppure "brucia!! brucia!!"; ero molto allegro, nello stato di traboccamento amoroso in cui mi mette la

primavera. . . " [45 E. Palandri, Boccalone storia vera piena di bugie, Milano, Bompiani, 1997, pp. 11.]

La vicenda delle "mongolfiere" è la storia di una azione di piazza o meglio di molte azioni di piazza [46 Furono lanciate più di trenta mongolfiere.], che si collocano nelle tormentata e vivace primavera bolognese. L'idea del lancio di queste "mongolfiere" fu di Giuliano Scabia, docente del DAMS.

Il lancio delle mongolfiere in piazza è forse l'azione meno nota di questo moderno scrittore teatrale.

L'idea della costruzione delle mongolfiere fu dello stesso Scabia, il quale racconta in una dichiarazione registrata l'8 maggio '99, da dove era partito l'imput creativo. Scabia aveva visto le mongolfiere nel '76 in un villaggio del sud America, dove venivano costruite da un uomo bianco in un villaggio di neri. Imparò a costruirle, e nel '77 le utilizzo per riprendere il discorso sul fantastico, che in quel momento sembrava essersi perso nelle vicende del movimento politico bolognese ormai sconfitto. Era un modo per distogliere l'attenzione da ciò che tutti chiamavano "paranoia". Si trattò di vere e proprie azioni teatrali di piazza a cui ognuno partecipava facendo la propria azione. Ognuno costruiva la sua mongolfiera, infatti ne furono costruite di varie forme. Il lancio del "Pesce", fatto davanti il carcere di San Giovanni in Monte, fu fatto per salutare tutti quei compagni che erano rinchiusi dentro per i fatti di marzo. Durante il lancio delle mongolfiere venivano cantate anche delle canzoni, quelle del "pesce", insieme ad altre furono scritte da Enrico Palandri [contenute in alcuni nastri registrati di Radio Alice].

Il lancio delle mongolfiere, come momento di animazione di piazza non fu una scelta casuale, c'è nei lavori di Giuliano Scabia la presenza costante di un grande oggetto; oggetti fantastici: Gigante, Gorilla Quadrumano, Marco Cavallo [47 Si tratta di un bisogno narrativo, una proiezione esterna di archetipi (protettivi o distruttivi) e di renderli più forti nei confronti della scena esterna (la città la campagna). Ma si tratta anche di una astuzia per accrescere il rapporto fantasmatico di partecipazione. Giuliano Scabia, Pupazzi, Archetipi, Spazi Urbani, in Teatro nello spazio degli Scontri,cit.,pp.XVIII]. Attorno a questi giganti si concentra una affettività di gruppo. Il grande oggetto fantastico diventa il supporto (pretesto) di una aggregazione sociale. Quella delle "mongolfiere", non è solo la storia di un singolo oggetto fantastico, attorno al quale ruota una collettività, ma è la storia di molti oggetti fantastici, grandi, quasi totemici, di conseguenza è la storia di tutte le persone che hanno costruito una propria mongolfiera, attraverso le varie forme, ognuna con i propri colori, e ognuna specchio dell'immaginazione del suo o dei suoi costruttori .

La storia delle mongolfiere è una storia di profonde sensazioni, emozioni, che solo quel momento storico forse poteva dare.

Le mongolfiere furono una chimera, nel tempo di quello spazio che riuscirono ad occupare.

Il senso di questa avventura, che definirei poetica, è dato in modo semplice ma efficace da quanto scrisse il suo ideatore qualche anno più tardi in un articolo di Paese Sera dal titolo "Quando fuggì da Bologna con una macchina volante" [48 Si tratta di un articolo di Giuliano Scabia, pubblicato su Paese Sera nel giugno dell'82] .

La repressione.

Il movimento si trovava a dover fronteggiare e subire la repressione, che dopo la riapertura dell'università diventò ancora più opprimente.

Molti furono gli studenti arrestati, i reati contestati erano diversi ma comunque tutti relativi ai fatti dell'undici e del dodici marzo. [49 Fra il 13 e il 15 marzo verranno arrestati 131 studenti, di cui 34 saranno accusati di aver saccheggiato il ristorante El Cantunzein, altri verranno accusati di adunata sediziosa, porto abusivo di arma impropria. Per arma impropria si intendevano dei limoni impossesso di 7 studenti fermati su un autobus. verranno arrestati i redattori della rivista Contropotere: Paolo Brunetti e Franco Ferlini. Gli ultimi arresti saranno effettuati nell'estate.]

Da una parte gli studenti cercano di rispondere agli arresti, dall'altra cercano di portare avanti informazioni, o meglio controinformazioni, sui fatti relativi all'omicidio Lo Russo.

Le azioni teatrali di piazza sono indirizzate verso questi presupposti, e per chiedere la liberazione dei compagni arrestati. [50 Le azioni furono organizzate a partire dalle iniziative degli studenti del DAMS.]

In primavera continuava ancora incessante l'azione repressiva.[51 L'inchiesta del giudice istruttore Catalanotti , ancora nella primavera portò all'arresto di decine di persone.]

Al congresso provinciale del PCI, circa dieci giorni dopo 11 marzo, Renzo Imbeni, segretario della federazione bolognese, parla di un possibile complotto contro la città, si presume l'esistenza di una forza reazionaria, in congiunzione con elementi estremisti che insieme si adoperano contro Bologna e la democrazia. [52 L'anima del complotto veniva attribuita ai redattori di Radio Alice, e ad altri leader del movimento. L'Unità si faceva portavoce di questa " teoria del complotto", gli articoli in merito furono poi raccolti e pubblicati nell'estate '77 da Lotta Continua sotto il titolo " Il complotto di Bologna" .]

In questo contesto emergono comportamenti che tendono all'inasprimento dello scontro con gli apparati statali . [53 la repressione non riusciva ad impedire l'iniziativa creativa del movimento. Il divieto del prefetto esclude le manifestazioni per le strade del centro della città. Ma il 30 marzo fra le limitazioni del prefetto e le cattive condizioni climatiche, parte ugualmente un corteo, gli slogan furono inventati proprio a partire dalle condizioni climatiche: "il PCI non è qui/ non sa andare sugli sci/ anzi no fa di più resta chiuso negli igloo."; " tutta questa neve/ porca vacca/ la manda giù Cossiga d'accordo con Bernacca".

Il Resto del Carlino, 31 marzo '77, p. 4 "università senza incidenti alla manifestazione degli autonomi, G. A. P.10 " la neve imbriglia i "duri" in corteo".]

Una situazione che non trova risposta concreta neanche nell'assemblea nazionale degli studenti che si svolse a Bologna dal 29 aprile al primo maggio. [54 L'autonomia abbandonerà l'assemblea giudicandola non decisionale.]

Non solo gli arresti erano continuati per tutta l'estate, ma una serie di decreti emessi dal governo andavano ad inasprire l'ordinamento giudiziario e penale. Vengono istituiti carceri speciali, destinati a detenuti politici e quelli comuni più pericolosi.

Nei primi giorni di luglio, un gruppo di intellettuali francesi lancia un appello contro la repressione, "che si sta abbattendo sui militanti operai e dissidenti intellettuali in lotta contro il compromesso storico", infine veniva chiesta la liberazione immediata dei militanti arrestati, la fine della persecuzione e della campagna di diffamazione contro il movimento e la sua attività culturale; e proclamano la loro solidarietà con tutti i dissidenti sotto inchiesta. [55 l'appello fu poi pubblicato su Lotta Continua del 5 luglio, fra i firmatari c'erano: J. P. Sarte, M. Foucault, F. Guattarì, G. Deleuze, R. Barthes, F. Vahl, P. Sollers, D. Roche, M. R. Macciocchi, C. Guillerme.]

Si accentuò così il dibattito sugli "intellettuali e il dissenso" nato con l'appello agli intellettuali pronunciato da Enrico Berlinguer, durante il convegno all'Eliseo. [56 Il segretario del PCI chiese agli intellettuali di schierarsi dalla parte delle istituzioni democratiche.]

Il movimento Bolognese ricollegandosi all'appello dei francesi, propone un "convegno contro la repressione", da svolgersi in settembre.

Contro la brutalità dello stato, per manifestare il dissenso politico contro gli arrestati, le perquisizioni; al fine di poter costituire collegamenti stabili con altre realtà italiane, per discutere le forme di mobilitazione e per sostenere i compagni in galera. [57 La proposta del movimento Bolognese venne poi lanciata su Lotta Continua dell'otto luglio.]

La proposta venne poi discussa a Milano il 13 luglio, in occasione del "festival nazionale della stampa di opposizione", e qui che venne stilato il manifesto di convocazione. [58 Che sarà pubblicato su Lotta Continua del 15 luglio '77 a p. 3, con il titolo " Manifesto di convocazione per il convegno contro la repressione a Bologna".]

A Bologna nei primi giorni di settembre vengono fissati i termini del convegno, le richieste da fare al comune, e la premessa che il convegno si svolga in città e non in luoghi periferici. [59 Il movimento si trova contemporaneamente a dover far convivere le posizioni presenti, a livello nazionale, a dover gestire i rapporti con comune e istituzioni. Per le tre giornate del convegno è annunciata la presenza di circa seimila agenti e altre misure di sicurezza. La stampa sottolinea il rischio di una possibile invasione violenta della città.

Turni di vegliardi parlamentari per il convegno degli autonomi, il Corriere della sera, 11 settembre '77, p. 1.]

L'assemblea apre con l'intervento del padre di Maurice Bignami, in carcere per i fatti di marzo, e denuncia il ruolo di corresponsabilità del PCI nella repressione del movimento, poi viene letto un messaggio dei militanti in carcere di Bologna, insieme ad una lettera di Bifo (lettera fra l'altro contestata dai presenti), fra i redattori di Radio Alice.

L'assemblea fu caratterizzata anche dallo scontro fisico fra autonomia e lotta continua.

Nella mattinata di sabato mattina si tiene una riunione con gli operai al palasport, intanto che in piazza prosegue l'assemblea su "stato e repressione".

In realtà il vero convegno si svolge per le strade, moltissime persone deluse dallo scontro verificatosi al palasport, preferiscono rimanere per strada, qui prevale l'aspetto festivo e il bisogno di incontrarsi per poter confrontare le proprie esperienze.

Mentre il piazza Maggiore si discute per le strade è un continuo addensarsi di persone e soprattutto di clown, mangiafuoco.

Durante i tre giorni del congresso furono presenti numerosi gruppi teatrali di base.

Giunti da ogni parte d'Italia, avevano risposto all'appello lanciato dal coordinamento bolognese dei gruppi teatrali di base:

"ASINO CHI LEGGE", Coordinamento dei Gruppi Teatrali di Base.

Già leggendo questa prima riga di stampa dovete ammettere di essere passati dal titolo, quindi siete asini. E inesorabile al punto che coinvolge anche chi scrive .Tutto sta nel riconoscersi asini con lucida serenità senza indignarsi per la violenza "terroristica" di questa frase, non a caso riesumata fra i ricordi di infanzia.

E' chiaro che lo scherzo fa male solo ai permalosi e ai presuntuosi che cercano di curiosare rimanendo fuori.

E' bello perché non concede neutralità. A questo convegno di gente curiosa che vuole starsene fuori, ne diremo tante. Tutti a Bologna per il grande spettacolo. C'è molta incertezza in giro. Pensando che la voglia e il bisogno di incontrarsi su cose nostre, nella nostra pratica quotidiana di miseria e ricchezza, da una parte sarà deviata negli slogan dei lucidi eroi sicuri di sé, dall'altra sarà incorniciata come connotato tipico del "diverso" autonomo, che, riposta la P.38 viene colto per la prima volta nell'intimità del ghetto in cerca di affetto e corpi caldi.

Saranno tanti i compagni che verranno a Bologna con tutta la loro rabbia, ma anche con la stanchezza di usare la propria energia solo per sopravvivere.

E' importante che si determinano diverse possibilità di uso e di spazi e situazioni per praticare finalmente terrene finora solo immaginati.

Quindi il "Coordinamento bolognese dei Gruppi Teatrali di Base" invita: teatranti, burattinai, musici, clowns, giocolieri, animatori, cineasti, danzatori, etc., etc., ad essere a Bologna da martedì 20 settembre per fantasticare un grande asino chi legge, se ce ne sarà voglia, e per un gruppo di lavoro aperto sugli argomenti di vita e di morte che ognuno porterà.

I compagni si trovino martedì 20 settembre dalle 15 alle 18 a Radio Alice.." [60 Pubblicato su Lotta Continua dell' 11 e 12 settembre '77, p. 10.]

Nei tre giorni del convegno il centro della città divenne un enorme palcoscenico, spettacoli improvvisati, per le piazze, per le strade, simboli floreali e il drago.

Alcuni clown con la maschera in gesso portano appeso al collo un cartello con su scritto "UNTORELLO", ma non è l'unico modo di fare animazione. Qualcuno lancia anatemi contro Berlinguer per poi sparire sotto il telone trasparente di piazza Verdi, questo è il quartiere generale del convegno. [61 Clown e sceicchi a spasso per la città, di S. Colomba, Il Resto del Carlino, 25 settembre '77. pp.2 ]

Altri ancora urlano " peste, peste, portami via con te".

Un semi cabaret gay, il collettivo gay guidato da Barbara Hutton, ovvero Adolfo, fra merletti e cappelliere, si ritrova sotto le due torri per fare uno spettacolo omosessuale in piazza .

In generale i vari gruppi vogliono parlare alla gente, e sanno che per fare ciò devono proporsi in maniera semplice, attraverso gesti essenziali, ma alcuni clown che già si erano esibiti durante i fatti di marzo dichiarano di non credere più in queste forme.

Il drago simbolo della repressione, continuava a sfilare per le strade principali del centro, una parata di festa e di rabbia, un grande carnevale, con le danze che dimostrano la grande voglia di liberazione dei tre giorni del convegno.

Il convegno si chiude la domenica del 23 settembre con un corteo cittadino.

Il corteo che parte da via Zamboni porta in testa uno striscione con la scritta "FRANCESCO E VIVO E LOTTA INSIEME A NOI". [62 Subito dopo lo spezzone di Bologna seguono gli altri delle altre città, insieme a quelli degli anarchici, delle femministe, degli omosessuali, della nuova sinistra.]

Il corteo fra tanti slogan, giunge in fine in piazza VIII Agosto, dove Dario Fo tiene uno spettacolo teatrale. [63 L'importante è avere la tigre, Lotta Continua, 23 settembre '77, pp. 8.]

Lo spettacolo conclusivo di Fo significò e segnò, come fu osservato nei giorni successivi, il ritorno emblematico al palcoscenico e al ruolo passivo di spettatori.

La fine del convegno sancì anche la fine del movimento bolognese, iniziato nel febbraio e spazzato via in primavera inoltrata.

Insieme alla fine del movimento, delle iniziative politiche e all'oscuramento stesso della coscienza politica, svanirono tristemente anche i filoni più creativi del movimento.

Le pareti smisero di parlare, la strada non fu più palcoscenico di vita, i muri colorati quasi come un caleidoscopio ritornarono ad essere monocromatici, e tutto riprese più o meno a ruotare intorno ad un sistema, simile a quell'immagine tanto espressiva di un Charlie Chaplin accomodato sulle ruote di un imponente ingranaggio, con tanto di bacchetta in mano, "Modern times", ma poi non tanto, i tempi ormai erano cambiati, e tutto regrediva all'interno di potenti argini precostituiti.

 

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