Donatella Possamai
Invito alla discussione: alcune riflessioni sul concetto di letteratura di massa oggi in Russia1

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Nel leggere i materiali critici sulla "letteratura di massa" una cosa appare di immediata evidenza: l'abbondanza di terminologia sinonimica, con cui, in linea di principio, si intende identificare uno stesso fenomeno. Vi propongo solo alcuni esempi dei differenti aggettivi in funzione attributiva che, combinati al sostantivo literatura [letteratura], trasmettono a quest'ultimo la necessaria connotazione: massovaja [di massa] - che in base alla frequenza occupa il primo posto -, potrebitel'skaja [di consumo], populjarnaja [popolare], razvlekatel'naja [di intrattenimento], trivial'naja [dal tedesco Trivialliterature], bul'varnaja [da boulevard], belletrističeskaja [belletristica], kitčevaja [kitch], etc. Con la stessa funzione vengono usati anche alcuni prefissi come sub-, para-, e psevdo- [pseudo-]. Inoltre a tutte queste definizioni viene più o meno indirettamente contrapposta una concezione di "letteratura alta", spesso senza ulteriori chiarimenti e al di fuori di qualsiasi contesto, come se si trattasse di una qualche verità superiore e immutabile, di un truismo che, nella fattispecie, apofaticamente, dovrebbe sostanziare di significato le definizioni succitate. Ne consegue che la questione non è un semplice problema di convenzionalità dei termini - su cui ci si potrebbe accordare senza particolari difficoltà - dato che affonda le sue radici nel campo semantico dei concetti stessi, e ci conduce, in qualsiasi discussione a proposito della letteratura di massa, sulla soglia dell'indeterminatezza e quindi della non-comunicazione. Per cercare di evitare tutto ciò, propongo di impiegare due termini; mi limiterò a parlare di letteratura di massa e letteratura di consumo.
Alla letteratura di massa pertiene, a mio parere, qualsiasi opera nata in seno alla società di massa, cioè all'interno di fenomeni come il consumismo, i mass-media, l'industria culturale etc. Ne deriva che la letteratura di massa esiste da tempi relativamente recenti, in stretta dipendenza, com'è ovvio, dalla nascita, in una determinata società, dei fenomeni sopraelencati.
Con il termine di letteratura di consumo intendo indicare qualsiasi prodotto letterario rispondente alla richiesta e ai gusti culturali di una determinata utenza o di un determinato gruppo sociale in una determinata epoca e che può essere caratterizzato soltanto in relazione al sistema letterario, le cui forme prende a modello adattandole al mercato. Giuseppe Petronio, che in molti e interessanti studi si è occupato della questione, definisce così la letteratura di consumo

"Letteratura di consumo" indicherebbe allora il fenomeno [...] per cui fatti di contenuto e fatti di forma (temi, personaggi, moduli narrativi, lingua, stilemi) si diffondono , si banalizzano, diventano fatti di costume e di moda, perdono di intensità e di tensione, vengono costruiti in serie, in modi industriali.2

Poiché stiamo parlando del mondo a noi contemporaneo, il riferimento è alle opere create per la massa, indirizzate alla massa, non tanto quindi "di massa". Inoltre, come sottolinea giustamente Petronio, la letteratura di consumo è un fenomeno trans-storico, che caratterizza tutti i tempi e tutte le epoche.

Partendo da questi presupposti ritengo sia possibile dare alcune indicazioni preliminari piuttosto interessanti:

a) è auspicabile l'eliminazione dalla definizione "letteratura di massa" di qualsiasi funzione connotativa (tanto più se dispregiativa), poiché indica unicamente le modalità di produzione e diffusione del fatto letterario, caratteristiche della nostra epoca; quindi la letteratura di massa, per sua natura, è un sistema disomogeneo: all'interno del sistema agiscono in concorrenza la forza centripeta e quella centrifuga, in altre parole vi è attrazione sia per l'omogeneizzazione (globalizzazione) che per la eterogeneizzazione (localizzazione);

b) la "letteratura di consumo" contemporanea è, per così dire, una parte costituente e inseparabile della letteratura di massa, una sub-categoria o un sub-sistema, all'interno del quale si avverte più chiaramente l'azione della forza diretta alla globalizzazione e alla omogeneizzazione;

c) viene a cadere la questione legata alla collocazione dei generi; il confine tra letteratura di consumo e letteratura in generale passa non tanto tra i generi, suddividendoli in generi alti e generi di consumo, quanto all'interno di ogni genere singolarmente preso. In una dimensione sincronica accade spesso che un genere (come d'altro canto anche una stessa opera) conosca più di un cambiamento di status: da alto a basso e viceversa.

Jurij Lotman, nel suo famoso articolo La letteratura di massa come problema storico-culturale,3 afferma che:

Il concetto di "letteratura di massa" [...] è un concetto sociologico; riguarda non tanto la struttura di questo o quel testo, quanto il suo funzionamento sociale all'interno del sistema generale dei testi che costituiscono una determinata cultura.In questo modo il concetto di "letteratura di massa" determina in primo luogo il rapporto di questo o quel collettivo con un determinato gruppo di testi.

Sostituendo "letteratura di consumo" a "letteratura di massa", è possibile concordare pienamente con l'affermazione di Lotman. Ciò non esclude la possibilità, all'interno di un sistema letterario, di determinare statisticamente a quali generi appartengano in maggior misura le opere di consumo di un determinato periodo, ma non è possibile, a mio parere, rapportare interamente, tout-court, un genere alla letteratura di consumo. È un'operazione tanto più dubbia se rapportata ai prodotti letterari dell'epoca postmoderna, nei quali spesso sono rinvenibili tratti di appartenenza a generi molteplici.

Alla luce di quanto detto spero appaia evidente l'infondatezza di affermazioni del tipo:

Le stesse tipologie di arte possono appartenere sia alla cultura alta che a quella di massa: la musica classica all'alta, la musica popolare a quella di massa, i film di Fellini all'alta, i colossal a quella di massa [...] Tuttavia esistono alcuni generi letterari (la fantascienza, i gialli e i fumetti) che sono sempre in relazione con la cultura di massa o popolare, mai con la cultura alta.4

Devo dire che opinioni di questo tipo sono condivise da non pochi critici, come appare evidente anche dalla sola lettura dell'articolo di Sergej Kormilov Il problema degli "ordini letterari",5 che fornisce un dettagliato excursus delle differenti posizioni critiche sulla contrapposizione di "basso" e "alto" in letteratura. Analizzare questo specifico problema, che rimane comunque sotteso alla distinzione tra letteratura di massa e letteratura di consumo, non rientra negli scopi di questo mio invito alla discussione; vorrei però far notare che, per quanto riguarda la specificità del dibattito russo sul tema, personalmente condivido le posizioni espresse da Boris Dubin (in Parola - Scrittura - Letteratura6) e Michail Berg (in Letteraturocrazia7). I due studiosi mettono giustamente in rilievo come la nuova letteratura cosiddetta di massa venga ignorata o demonizzata proprio da coloro che, dopo la dissoluzione del sistema sovietico, hanno perduto o, peggio ancora, temono di perdere un determinato ruolo dominante all'interno della società russa e quindi contrastano con tutti i mezzi qualsiasi impulso innovativo sia nell'arte che, più in generale, nello spazio culturale.
Torniamo alla letteratura di consumo: ho già detto, partendo dalla teoria di Petronio, che si tratta di un fenomeno caratteristico di tutte le epoche, all'interno del quale possono essere collocati tutti quei prodotti letterari che prevedono il livellamento e lo schiacciamento degli elementi distintivi di un'opera, relativi sia alla forma che al contenuto e, in generale, ad entrambi, scusandomi per la grossolana, ma funzionale distinzione. Ma sono tratti molto generici, che non dicono poi molto sulle caratteristiche specifiche del sub-sistema "letteratura di consumo" e quindi sulla differenziazione dal sistema della "letteratura di massa" a noi contemporaneo. Temo che una tassonomia di questi tratti non sia cosa facile da realizzare per una semplice ragione: discernere tali tratti sarebbe relativamente complesso in un sistema in cui tutte le funzioni del fatto letterario, a causa o grazie ad una struttura rigida e scarsamente flessibile, si autodefiniscono chiaramente. In altri termini, in una situazione in cui il fatto letterario non è mai univoco, come nella contemporaneità russa, ciò diviene estremamente difficile.
Un giovane ricercatore, Nikolaj Mel'nikov, in alcuni interessanti lavori, propone il principio della serialità come spartiacque tra la letteratura alta e la letteratura di massa, segnalando però "la mobilità e la non assolutezza" dei confini e partendo da una concezione della letteratura di massa "come categoria valutativa trans-storica".8 Nel caso specifico, questi presupposti riconducono la questione sulla terminologia, da me posta inizialmente, ad un problema di convenzionalità nell'uso. Tuttavia alcune posizioni di Mel'nikov sono molto discutibili. In primo luogo egli suddivide la letteratura di massa in generi, tra i quali colloca al primo posto il kriminal'nyj roman [letteralmente romanzo criminale, cioè gialli, romanzi di fantapolitica etc.]. Farò la solita, vecchia obiezione: e le opere di Conan Doyle, Dashiell Hammett, Raymond Chandler e, passando alla letteratura russa, quelle di Boris Akunin, che stanno avendo successo anche da noi. In secondo luogo, se posso concordare con l'assunto di Mel'nikov che prevede la scomparsa del principio autoriale nella letteratura di massa (o meglio di consumo), potrei altresì obiettare che nella nostra epoca questo tende in generale a scomparire (un esempio tutto italiano potrebbero essere i romanzi di Luther Blissett e Wu Ming che esiterei a definire letteratura di consumo).
Il fatto è che in Russia il postmodernismo ha favorito la formazione di un spazio culturale tipologicamente nuovo, all'interno del quale le precedenti leggi di organizzazione dei materiali nel testo non sono più in vigore. Procedimenti quali la decanonizzazione e la frammentazione, che hanno portato alla scomparsa dell'unicità del linguaggio canonico, l'intertestualità nell'ampia concezione di Mark Lipoveckij9 e il double-coding di Charles Jencks e Umberto Eco, hanno del tutto confuso le vecchie regole del gioco. Inoltre se il primo postmodernismo russo recava la forte impronta del modernismo, negli ultimi dieci anni, sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa e a causa della mutata domanda culturale dei nuovi strati sociali, il secondo postmodernismo russo sta perdendo, o ha già perso, l'orientamento elitario della sua prima stagione, rendendo più labili i confini tra cultura alta e cultura bassa, all'insegna del processo già descritto da Leslie Fiedler in relazione alla cultura pop nordamericana degli anni '60. Il fatto che la Russia si trovi in una delicata fase di passaggio ne rende difficilmente intelleggibile il panorama culturale, favorendo la percezione di uno spazio sincretico, in questo senso massimamente postmodernista, all'interno del quale tutto si mescola e si confonde e dove risulta molto difficile parlare di confini di qualsivoglia natura.
In relazione a quanto detto, mi sembra eccessivamente rischioso tracciare delle linee fisse di demarcazione tra letteratura di massa e letteratura di consumo; questo problema può essere risolto, a mio parere, unicamente in relazione ad una singola opera concreta, identificando e valutando di volta in volta quei segnali che potremmo unificare alla voce "mancanza di innovazione".

 

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Giugno-dicembre 2002, n. 1-2